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venerdì 18 aprile 2025

QUEER



titolo originale: QUEER (ITALIA/USA, 2024)
regia: LUCA GUADAGNINO
sceneggiatura: JUSTIN KURITZKES
cast: DANIEL CRAIG, DREW STARKEY, JASON SCHWARTZMAN, LESLEY MANVILLE 
durata: 135 minuti
giudizio: 



Città del Messico, anni '50. Il ricco americano William Lee trascorre le sue giornate nei locali gay del centro, bevendo superalcolici e adescando altri uomini per fare sesso. L'incontro con il giovane Eugene Allerton, di cui Lee s'innamora follemente, lo porterà a stravolgere completamente la sua stanca routine e provare passione vera dopo tanto tempo...     



Luca Guadagnino
può davvero considerarsi il cineasta attualmente più impegnato al mondo: due film all'anno come regista, altrettanti come produttore (grazie a lui hanno visto la luce April e Diciannove, entrambi passati a Venezia), più una miriade di progetti ancora in lavorazione o in standby... niente male per uno che fino a pochi anni fa veniva regolarmente deriso e spernacchiato dalla critica, salvo poi far ricredere tutti con gli Oscar vinti con Chiamami col tuo nome: da allora ecco spalancarsi le porte di Hollywood, la gloria, i soldi e la considerazione degli addetti ai lavori, tradottasi in una bulimia creativa che il regista siciliano ha saputo far fruttare più che bene.

Tanta iperattività non è però sempre sinonimo di qualità, specialmente quando si tratta di buttare giù opere alquanto complesse e poco "filmabili" come questo Queer, ovvero la trasposizione cinematografica (molto libera) dell'omonimo romanzo di William S. Burroghs, storico manifesto della cultura beat scritto nel 1951 e pubblicato in Italia solo nel 1985 (col titolo di Checca) a causa dei contenuti sessualmente espliciti e dichiaratamente omosessuali contenuti al suo interno. Guadagnino ha sempre dichiarato che Queer sarebbe stato il suo film più intimo e personale, quello che più lo avrebbe coinvolto emotivamente, e come spesso succede quando ci si accinge a girare il film della vita ecco che l' "ansia da prestazione" finisce con il condizionarne negativamente il risultato. Figuriamoci poi, come in questo caso, quando il film arriva già con l'etichetta di "film-scandalo" ancora prima della sua uscita in sala...

Beh, lo diciamo subito: se qualcuno di voi fosse interessato a vedere Queer solo per le strombazzate scene omosex tra Daniel Craig e Drew Starkey rimarrà alquanto deluso: le performance erotiche tra i due attori protagonisti naturalmente ci sono, ma sono in realtà molto meno "hot" di come ci vengono presentate, tanto che la pellicola, ad oggi, ha ricevuto solo il divieto per i minori di 14 anni... insomma, per chi scrive niente più che un'abile mossa pubblicitaria. Ma aldilà di questo, il punto debole di Queer è che il film rimane costantemente ingessato nella sua cifra estetica senza mai concedere allo spettatore un guizzo, un'emozione, un assist che lo invogli a portare avanti la visione che si rivela faticosissima fin dall'inizio. Queer è un film che trovo sostanzialmente noioso, ripetitivo, prigioniero del suo corrispettivo letterario che ben poco si presta ad un adattamento filmico, pur con tutte le buone intenzioni del suo regista.

Il libro di Burroghs infatti, come chi lo ha letto sa, non ha una trama vera e propria, una narrazione strutturata, un filo conduttore. Ai tempi della beat-generation non era tanto importante la mèta quanto il viaggio, il contesto, l'ambiente in cui ci si muoveva (a volte con estrema difficoltà). Queer (il libro) utilizza gran parte delle sue 126 pagine per descrivere i deliri allucinati di due persone estranee da un mondo che le respingeva a priori, e la stessa cosa prova a fare Guadagnino nelle sue due ore e un quarto di minutaggio: solo che il film proprio "non scorre", si ripete in continuazione, diventa subito ostaggio della sua prolissità. Va bene che la noia, lo spleen, è chiaramente voluto  dal regista per far provare allo spettatore lo stesso stato d'animo del protagonista Lee (fino a qui ci arriviamo tutti), ma dedicare tutta la prima ora agli incontri di Lee con i suoi toy-boy, sempre negli stessi locali, con le stesse modalità, perfino con le stesse effusioni erotiche, mi è parso più un accanimento che la presa d'atto di una condizione...

La seconda parte del film, poi, cambia diametralmente approccio sconfinando nell'improbabile: l' "azione" (si fa per dire) si trasferisce in Amazzonia, dove i due pseudo-amanti si dirigono alla ricerca di una misteriosa droga capace, secondo le credenze locali, di consentire alle persone di leggere nel pensiero... in realtà la spedizione in Sudamerica non è altro che il pretesto che adotta Lee per avere tutto per sè il suo giovane amante, libero così da tentazioni esterne (forse perfino bisessuali), ma anche piuttosto frustrato da un viaggio che si rivelerà drammatico e devastante per la loro relazione. Peccato che questa parte così drammatica si riveli invece tragicamente comica nella versione di Guadagnino: il ridicolo involontario finisce infatti per prendere il sopravvento nel vedere i due avventurarsi con il machete in mezzo alla giungla come nella più squinternata parodia di Indiana Jones! Una caduta di stile che stride molto con la "solita" cura quasi maniacale dei particolari, che però da sola non basta a salvare un'opera troppo pachidermica e discontinua.

Restano, certo, le discrete prove attoriali di un Daniel Craig coraggioso nel mettersi a nudo (in tutti i sensi) in un ruolo ben lontano dalle sue performance di sex-symbol, nonchè quella del giovane Drew Starkey, ambiguo e conturbante come richiesto dal copione, nonchè ancora l'ottima colonna sonora dei "soliti" Trent Reznor e Atticus Ross (ormai collaboratori fissi di Guadagnino) e le eleganti scenografie di Stefano Baisi (quasi tutte ricostruite a Cinecittà) che fotografano un Messico volutamente finto e decadente. Ma tutto questo non basta a farci piacere un film nato stanco, bolso, poco empatico e privo di verve, che non riesce a far trasparire nemmeno un grammo di quella passione personale, sincera, che Guadagnino sostiene di averci riversato dentro. Succede spesso, purtroppo, che il "film della vita" di ognuno di noi non sia poi esattamente lo stesso per chi lo guarda. Pazienza. 
 

4 commenti:

  1. A me invece ha emozionato non poco. Per la sua tragicità, il suo dolore trattenuto e la tremenda solitudine del protagonista. Che sono poi le paure di ogni essere umano. E lo dico certo non da fan di Guadagnino.

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    1. Sul lato emotivo, come sempre, alzo le mani: le emozioni sono sempre soggettive e quindi non mi permetto e non potrei giudicare nessuno: se questo film ti ha coinvolto buon per te. I temi che hai enunciato sono sicuramente atavici e permeano questa storia: io però non li ho trovati affatto così convincenti e ben trattati

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  2. Come sai Guadagnino è uno che mi piace, ma questo proprio non mi ispira. E mi pare che rischi davvero di diventare monotematico: dovrebbe far vedere prima o poi che sa raccontare non solo storie a tema omosex, che diamine!

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    1. Ogni regista si ispira a ciò che "sente" dentro di sè, e probabilmente per Guadagnino, per il suo vissuto, per il suo passato, questi sono argomenti di cui non può fare a meno (come, ad esempio, sono - o erano - gli stessi argomenti di un altro ex enfant-prodige, Xavier Dolan). Non gliene faccio certo una colpa. Però mi permetto di criticare il modo in cui ultimamente li mette in scena, che personalmente non gradisco molto...

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