venerdì 19 dicembre 2025

FATHER MOTHER SISTER BROTHER



titolo originale: FATHER MOTHER SISTER BROTHER (USA, 2025)
regia: JIM JARMUSCH
sceneggiatura: JIM JARMUSCH
cast: TOM WAITS, ADAM DRIVER, MAYIM BIALIK, CHARLOTTE RAMPLING, CATE BLANCHETT, VICKY KRIEPS, INDYA MOORE, LUKA SABBAT
durata: 110 minuti
giudizio: 




Tre episodi riguardanti altrettanti rapporti familiari. Nel primo, un padre eccentrico e squattrinato chiama a sè i due figli, che non vede da tempo, nella sua dimora immersa tra i ghiacci del nord-est americano. Nel secondo, a Dublino, due sorelle poco realizzate vanno a trovare la loro madre, famosa scrittrice e piuttosto parca di effusioni. Nel terzo, un fratello e una sorella si ritrovano a Parigi per sgombrare l'appartamento dei genitori, da poco morti in un incidente aereo...



I film di Jim Jarmusch fanno sempre uno strano effetto: mentre li guardi ti sembra che non succeda mai niente, salvo poi renderti conto, una volta finiti, che ti hanno detto molto più di quanto fossi pronto ad ascoltare. E anche Father Mother Sister Brother funziona esattamente così, ed è forse uno dei suoi lavori più limpidi e maturi. In molti hanno storto il naso quando, a sorpresa, con questo film Jarmusch ha vinto il Leone d'oro all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, scambiando il minimalismo per inconsistenza: secondo me era invece ora che lo stile particolare e riconoscibilissimo del regista americano fosse finalmente premiato da una giuria internazionale, riconoscendogli il suo talento, innato, nel coniugare ironia, malinconia e profonda sensibilità, sempre attraverso un umorismo surreale e tagliente, anche nei momenti più drammatici.

Tre storie non intrecciate (salvo alcuni oggetti che si ripetono nei vari episodi), pochi personaggi, dialoghi ridotti all'osso. Jarmusch non cerca mai le scene madri nè le frasi ad effetto, e non gliene importa niente di spiegarti tutto. Ti mette davanti frammenti di vita familiare, apparentemente ordinari, e poi si fa da parte. Tocca allo spettatore riempire i vuoti, leggere gli sguardi, sentire il peso dei silenzi. La cosa più bella del film è proprio questa sensazione di calma profonda, quasi disarmante. Non c'è cinismo, non c'è giudizio. C'è uno sguardo umano che osserva padri, madri, fratelli e sorelle mentre cercano di volersi bene senza sapere bene come farlo. Jarmusch racconta l'incomunicabilità non come un dramma urlato ma come una condizione quotidiana, fatta di frasi lasciate a metà, di affetto trattenuto, di gesti minimi che contano più di mille discorsi. 

Le interpretazioni seguono la stessa linea: nessuno recita sopra le righe per farsi notare, nessuno forza l'emozione. Tutti sembrano normalmente "reali", ed è questo che rende i personaggi credibili e vicini. Sembra quasi di spiare momenti privati, ma senza essere invadenti. E' un equilibrio delicato, e Jarmusch lo gestisce con una sicurezza disarmante. I tre episodi sono molto diversi per impatto emotivo: il primo è divertente, sarcastico, leggiadro (un padre eccentrico - chi meglio di Tom Waits? - convoca a casa i due figli - Adam Driver e Mayim Bialik - perchè probabilmente ha bisogno di soldi), il secondo è inquieto e imbarazzato (due sorelle scapestrate - Cate Blanchett e Vicky Krieps - sono "costrette" a prendere un tè dalla loro madre - Charlotte Rampling - scrittrice di successo, ricca, famosa e anaffettiva), il terzo molto drammatico ma mai strappalacrime (due gemelli - Indya Moore e Luka Sabbat - devono elaborare il lutto della morte dei loro genitori). Tre momenti comuni, scarni, essenziali.

E anche il film è essenziale, coerente con quello che racconta. Ogni inquadratura respira, ogni spazio ha il tempo per diventare naturale. Non c'è nulla di superfluo, nulla che distragga dal cuore del racconto: le relazioni, la memoria, il tempo che passa e che cambia le persone, anche quelle più vicine a noi, anche se non ce ne accorgiamo...

Alla fine, Father Mother Sister Brother conferma una verità che vale per tutto il cinema di Jarmusch: sembra parlare del nulla, di momenti insignificanti, di giornate qualsiasi. In realtà parla di tutto quello che ci rende umani. Dell'amore che non sappiamo esprimere, delle distanze che costruiamo senza volerlo, del bisogno silenzioso di essere capiti e accettati per quello che siamo. E' un film che non ti travolge, ma ti resta addosso. E quando te ne accorgi, è già tardi per dimenticarlo.
  

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