
titolo originale: DUSE (ITALIA, 2025)
regia: PIETRO MARCELLO
sceneggiatura: LETIZIA RUSSO, GUIDO SILEI, PIETRO MARCELLO
cast: VALERIA BRUNI TEDESCHI, NOEMIE MERLANT, FAUSTO RUSSO ALESI, VINCENZO NEMOLATO, NOEMIE LVOVSKY
durata: 122 minuti
giudizio: ★★★☆☆
Dodici anni dopo il suo ritiro dalle scene, mentre l'Italia si appresta a precipitare nel Fascismo, la "divina" Eleonora Duse decide di tornare a recitare: un po' per necessità economiche, un po' perchè dentro di lei arde ancora il sacro fuoco del teatro...
Con Duse, Marcello firma uno dei suoi film più personali e contemplativi, scegliendo di raccontare (o meglio, evocare) gli ultimi anni di vita della grande Eleonora Duse, la "divina", la grande attrice di teatro che dominò incontrastata la scena mondiale a cavallo dei due secoli scorsi. Ma attenzione: più che una biografia, Duse è un ritratto poetico, quasi astratto, che mette al centro non tanto i fatti di vita della diva quanto il suo spirito, la sua solitudine, la sua capacità di restare artista anche in un mondo che stava inesorabilmente cambiando (in peggio, visto che l'Italia si apprestava a diventare fascista), come una specie di Gloria Swanson ante litteram, impassibile davanti allo scorrere del tempo.
Il registro che adotta Marcello è lo stesso del precedente (e speculare) Martin Eden (2019), che a suo tempo avevo apprezzato assai, ovvero una rappresentazione quasi onirica, astratta, che rifugge la linearità abbracciando la discontinuità temporale, dove il passato e il presente si fondono e la narrazione si affida più al montaggio delle emozioni che a quello degli eventi. Tenendo fede alla sua cifra stilistica, il regista lavora su un tempo dilatato, sospeso, costruendo quadri visivi che assomigliano più a veri e propri stati d'animo piuttosto che segmenti narrativi.
Duse non è affatto uno one-woman-show, anche se Valeria Bruni Tedeschi sa immergersi nel personaggio con grande intensità, scegliendo una recitazione sobria, misurata, lontana dagli eccessi teatrali. La sua Duse è fragile, stanca, ma ancora piena di dignità: non cerca l'applauso, ma qualcosa di più profondo, forse una forma di pace, il modo per raggiungere la serenità nonostante tutto. E questo ritratto si integra perfettamente nello sguardo d'insieme del film, che ancora una volta mescola materiali d'archivio, immagini in pellicola e una narrazione frammentaria, più sensoriale che lineare. Tutto davvero molto affascinante, a tratti anche commovente, e certamente di grande atmosfera. Ma non sempre coinvolgente.
Paradossalmente, infatti, limiti del film stanno proprio qui: nella scelta consapevole di lasciare da parte la narrazione tradizionale, di non spiegare troppo, di chiedere allo spettatore di entrare in punta di piedi in un mondo fatto di sussurri e assenze. E' un approccio coraggioso, che rende Duse un prodotto insolito, quasi "anomalo" nel panorama italiano contemporaneo. Ma allo stesso modo Duse può anche sembrare distante, lento, quasi ermetico, soprattutto per chi non ha familiarità con lo stile del regista o con la figura stessa della Duse. A tratti pare di sentire la mancanza di una tensione interna più forte, di un ritmo che accompagni lo spettatore, di un approccio più passionale ed empatico.
Detto questo, Duse resta un'opera sincera, coerente, ricca di suggestioni e visioni potenti. E' un film che non ti concede nulla, che richiede attenzione e tempo, ma che riesce comunque a lasciare un segno tangibile, seppur silenzioso, in chi è disposto ad ascoltarlo. Non tutto funziona, specie in qualche personaggio secondario (il cameo dello storico Giordano Bruno Guerri è una marchetta pura e semplice), e non tutti usciranno dalla sala emozionati. Ma chi ama il cinema che sa prendersi il suo tempo, che guarda al passato per interrogare il presente, troverà in Duse un qualcosa di prezioso: un film che crede ancora nella forza delle immagini e nella memoria delle voci che non si sentono più.
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