titolo originale: LEONI (ITALIA, 2025)
regia: FRANCESCO ROSSI
sceneggiatura: FRANCESCO ROSSI, CONSUELO CIPRIANI
cast: PAOLO BARTALINI, MAURO MINGHI, GIAMPIERO VETTORI, IRENEO MESCE, LUCA BAGLIONI, GIANLUCA ROSSI
durata: 143 minuti
Quel giorno Poggibonsi si svuotò, letteralmente. Destinazione Perugia, stadio Renato Curi. Si gioca uno spareggio epico per la promozione in Serie C2: il Poggibonsi affronta il Gubbio in una sfida senza appello, dentro o fuori. Sugli spalti ci sono oltre 5mila tifosi giallorossi (i colori del Poggibonsi), quelli del Gubbio sono molti di più. In totale 22.500 spettatori: a tutt'oggi rimane la partita di serie D con il maggior pubblico di sempre. Il sottoscritto non c'era, avevo solo 13 anni e i miei genitori ritenevano troppo pericoloso farmi assistere a quella partita. La sentii alla radio, come tutti quei (pochi) che non erano allo stadio.
Eh, le sliding doors. Quale spettacolo più del calcio è lo specchio della vita, del destino, delle occasioni perdute? Se il "nostro" centravanti Pistella l'avesse messa dentro a porta vuota a un minuto dal 90° a quest'ora staremmo raccontando un'altra storia. Invece Pistella, incredibilmente, la mise fuori. Nemmeno lui ancora sa come. Si va ai supplementari, e al minuto 113 un carneade eugubino di nome Zoppis anticipa la nostra difesa e segna sotto la sua curva. Fine dei giochi. Fine del sogno. E dire che qualcuno dei nostri aveva perfino ironizzato su di lui: "mica ci potrà far gol uno che si chiama Zoppis??". Quanto è crudele la legge del contrappasso... La mattina dopo, a scuola, avevo le lacrime agli occhi, come tutti i miei compagni. Avevo il cuore a pezzi, ma la mia sofferenza era niente rispetto a quella carovana di 26 pullman e alle migliaia di auto private che rientrano mestamente da Perugia.C'è un momento, in questo bellissimo film di Francesco Rossi, in cui un vecchio tifoso poggibonsese si commuove ricordando quel giorno: "Eravamo tutti lì, e pareva che il mondo finisse lì, in quello stadio". E' un frammento, un filo di voce che racchiude tutto il senso di questo documentario: un'opera che non parla solo di calcio ma di appartenenza, di radici, di quella magìa invisibile che lega una città alla sua squadra. E naturalmente, di fronte alle immagini, non ho potuto trattenere le lacrime: è successo quando ho (ri)visto sullo schermo gli stessi protagonisti di allora, quasi quarant'anni dopo, tornare al Renato Curi e ripetere quella maledetta azione da gol... personalmente, credo che il documentario sia il genere più adatto per raccontare il calcio, forse l'unico possibile. Perchè il calcio sprigiona emozioni e adrenalina che sono difficilissime da riprodurre in una fiction. Perchè il calcio è già cinematografico di suo, non vuole imitazioni.Decine di interviste, quasi quattro ore di materiale d'archivio (poi ridotte a due e mezza) tra fotografie, video in super 8 e registrazioni televisive dell'epoca: Rossi assembla il tutto con un ritmo incalzante eppure dolce, sincero, senza enfasi nè retorica. Non cerca l'effetto ma la genuinità: attraverso vecchie immagini di repertorio racconta la storia centenaria di una città operaia che cresce, cambia, resiste. Il calcio diventa specchio e memoria collettiva insieme: la parabola di una comunità che anche nei momenti più difficili ha saputo tenere duro, ha continuato a prendersi per mano. Come dice Ireneo Mesce, una delle voci narranti del film, quella del Poggibonsi è "la storia straordinaria di una squadra ordinaria", una squadra che in media vince un campionato ogni vent'anni (se va bene), che in un secolo di vita di gioie ne ha vissute davvero poche (compreso il triste presente: ultima in classifica in serie D), ma che nonostante tutto non si è fatta mai mancare l'affetto della sua gente.Ci sono passaggi che colpiscono per intensità: il culmine è ovviamente il ricordo di Stefano Lotti, il nostro "Stefanino", calciatore amatissimo dai tifosi e tragicamente morto in campo per arresto cardiaco. Ai tempi non c'erano i defibrillatori e la partita continuò normalmente. Il Poggibonsi vinse e mise le basi per la vittoria del campionato, quella che ci era sfuggita l'anno prima a Perugia. Ma io, che quella volta invece c'ero, non dimenticherò mai quel silenzio glaciale che accompagnava Stefano in ambulanza, nell'inutile corsa all'ospedale, e le urla disperate, disumane, che a fine partita confermarono quello che tutti immaginavamo ma cui nessuno voleva credere. Proprio come accadde a Renato Curi e ben prima di Astori e Morosini.
Leoni, ormai lo avrete capito, non è solo un documentario sportivo: è un film sulla resistenza della passione. In un'epoca di stadi semivuoti, partite in tv e sport-spettacolo, di una bulimia calcistica che ha ormai "stroppiato" anche gli irriducibili, Francesco Rossi ci mostra la parte sana del calcio, del tifo, dello spirito di appartenenza, e ci ricorda che il calcio di provincia può ancora essere un rito collettivo, un linguaggio dell'anima. Di più: Leoni ci ricorda quanto il calcio può essere importante per far emergere i valori di una comunità intera, specie se lontana dal calcio che conta. Ma la cosa incredibile è che Francesco Rossi è un ragazzo appena trentenne che buona parte di questa storia centenaria l'ha vissuta solo attraverso le testimonianze dei materiali d'archivio e dei racconti della gente. E vedendo il film pare altrettanto incredibile (è un complimento) che un regista così giovane abbia potuto dirigere un film così commovente e profondo, che va a toccare soprattutto le corde sensibili degli spettatori più attempati.
Alla fine, quando scorrono i titoli di coda, si ha la sensazione che Leoni non parli solo di Poggibonsi, ma di tutti noi. Perchè tutti, in fondo, abbiamo avuto una squadra o un luogo che ci ha insegnato a sognare insieme agli altri. Intendiamoci, però: Leoni non è solo emozione, commozione, sentimento. E' un film vero, bello, qualitativamente eccellente sia dal punto di vista tecnico che artistico. Tra qualche mese andrà in piattaforma (su Prime Video) e consiglio a tutti di vederlo, sportivi o no: perchè è un piccolo film dal cuore grande, capace di ricordarci che il calcio, quando è autentico, appartiene davvero a tutti noi.
p.s. glossario per i non toscani e i non sportivi: i "Leoni" del titolo sono i giocatori del Poggibonsi e i loro tifosi. L'etimologia deriva dal fatto che il Leone è il simbolo della città (un leone rampante giallo su sfondo rosso) e, per associazione, si estende anche all'universo calcistico.
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