titolo originale: PRESENCE (USA, 2024)
regia: STEVEN SODERBERGH
sceneggiatura: DAVID KOEPP
cast: CALLINA LIANG, LUCY LIU, CHRIS SULLIVAN, EDDY MADAY, WEST MULHOLLAND
durata: 85 minuti
giudizio: ★★★☆☆
Una coppia, Rebecca e Chris, e i loro due figli, Chloe e Tyler, sono costretti a trasferirsi fuori città a causa di evento tragico che ha sconvolto Chloe (la morte della sua migliore amica). La ragazza però si accorge che nella sua camera aleggia una "presenza" invisibile che la terrorizza. All'inizio non viene creduta da nessuno, ma ben presto le conseguenze diventeranno per tutti impossibili da ignorare...
Perchè anomalo? Semplice: perchè Presence è un horror che non fa assolutamente paura. Nemmeno un po'. E perchè il plot del film si intuisce già dopo poche scene, anzi dopo pochi fotogrammi. Non c'è nessun pericolo di spoilerare perchè sia il titolo che l'incipit sono talmente eloquenti da lasciare interdetti: l'intero film è ripreso in POV, ovvero Point Of Wiew, come si dice in gergo. E quale potrebbe essere il punto di vista se non quello della "presenza", del "fantasma" che si aggira nell'appartamento dove si è appena trasferita la famiglia protagonista? Insomma, un horror che non fa saltare sulla sedia e dalla trama assolutamente scontata fin dall'inizio: mi concederete che la prima impressione a caldo non poteva essere certo di meraviglia...
C'era però qualcosa che non mi quadrava malgrado l'impatto assolutamente negativo della prima visione. Due cose in particolare: la prima, banalmente, che uno come David Koepp (uno che ha scritto La morte ti fa bella e Carlito's Way, giusto per capire con chi si ha a che fare) non poteva essersi rincoglionito tutto insieme. La seconda, magari un capellino più professionale, era che uno come Steven Soderbergh, uno cui piace sorprendere, sperimentare, sparigliare le carte, magari avesse voluto proporci qualcosa di diverso dal solito horror soprannaturale che, visti la trama e i trailer, chiunque di noi si sarebbe aspettato... e proprio questa, a posteriori, posso dire che è la chiave del film: Presence è un film che utilizza il genere horror e le sue regole imposte per parlare d'altro, nella fattispecie di legami famigliari, di elaborazione del lutto, di disagio giovanile, di comunicazione tra genitori e figli e anche tra figli e figli. Ed è (per me) da questo concetto che va inquadrato.
Si comincia all'interno di un grande, lussuoso appartamento completamente vuoto, con un'agente immobiliare che sta convincendo i potenziali acquirenti a comprare. Gli acquirenti non hanno dubbi, si vede che hanno fretta di trasferirsi lì per lasciarsi alle spalle qualcosa o qualcuno. Si tratta di un'intera famiglia: una madre in carriera, Rebecca (Lucy Liu), gelida di carattere e morbosamente affezionata al figlio maschio, Tyler (Eddy Maday), giovane promessa del nuoto. Un padre, Chris (Chris Sullivan), al contrario piuttosto remissivo e succube della moglie, che però è molto più comprensivo nei confronti di Chloe (Callina Liang), la figlia femmina, sconvolta per il presunto suicidio della sua migliore amica, che poi è anche la vera ragione del trasferimento fuori città.
Chloe è l'unica della famiglia che sembra cogliere tutto il dolore di una società cinica, vuota, totalmente votata alla competizione: l' "eroe" familiare è Tyler, campione di nuoto, benvoluto da tutti, sbruffone al punto giusto, popolare a scuola e circondato da compagnie giuste, almeno in apparenza. Chloe invece è disperata, stravolta, ancora sotto choc per la morte dell'amica del cuore, di cui però avverte ancora la presenza, e non solo spiritualmente: Chloe "sente" che il fantasma della ragazza è lì con lei, nella sua stanza, pronto a manifestarsi quando la situazione comincia ad assumere una brutta piega, in particolare quando Chloe, forse per disperazione o ingenuità, si lega a un compagno di classe di suo fratello, personaggio apparentemente irreprensibile ma che nasconde lati molto oscuri...
Da questo momento il film prende una piega inaspettata, anche se in realtà per 3/4 di visione accade poco o nulla: accade però che lo spettatore, pur non rendendosene immediatamente conto (come nel mio caso), viene proiettato in una situazione disagevole, in cui è chiaro che i "cattivi", il nemico, il Male, non è rappresentato dagli spettri, dall'aldilà, bensì dalle crepe sottaciute di una famiglia disfunzionale in cui si tace per non affrontare i problemi, si scappa illudendosi di lasciarsi alle spalle un dolore che invece è latente e profondo, e che certo non può sparire con una mano di vernice alle pareti. Questo è il vero orrore: la mancanza di dialogo, di fiducia, di un rapporto sano tra genitori e figli, tra fratello e sorella, tra persone adulte e intelligenti.
Il ritratto che ne esce fuori della famiglia media, americana, borghese, wasp, è spietato: il Male è all'interno delle mura domestiche, i vivi fanno ben più paura dei morti, le relazioni non si costruiscono facendo finta che tutto vada bene, rimuovendo il passato. Soderbergh e Koepp lo fanno abbastanza frettolosamente (il film dura appena 85 minuti, che - contrariamente alle mie convinzioni - questa volta appaiono un po' pochi per mettere a fuoco tutto, specialmente nel finale) ma quanto basta per mettere in scena un kammerspiel tecnicamente di alta classe (la fotografia è sublime, stupefacente se si pensa che è stata realizzata con un I-phone!), un film gelido, piatto, che sul momento non ti invita nemmeno a ragionare su quello che si è visto. Ma forse l'intento era proprio questo: insinuare nello spettatore un malessere latente, che viene fuori piano piano, sottaciuto ma non rimosso. Ad ogni modo, sia messo a verbale, ho ampiamente rivalutato Presence: giusto per ribadire che solo gli stupidi non cambiano mai idea...
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