venerdì 5 dicembre 2025

40 SECONDI



titolo originale: 40 SECONDI (ITALIA, 2025)
regia: VINCENZO ALFIERI
sceneggiatura: VINCENZO ALFIERI, GIUSEPPE G. STASI
cast: JUSTIN DE VIVO, FRANCESCO GHEGHI, FRANCESCO DI LEVA, BEATRICE PUCCILLI, ENRICO BORELLO, GIORDANO GIANSANTI, LUCA PETRINI, SERGIO RUBINI 
durata: 121 minuti
giudizio: 


Il 6 settembre 2020 a Colleferro, vicino Roma, il ventenne Willy Duarte Monteiro muore in seguito a un brutale pestaggio dopo essere intervenuto per cercare di sedare una rissa tra coetanei. Il film ripercorre, analizzando i vari punti di vista, le 24 ore precedenti alla tragedia.     



Dispiace, sinceramente, che 40 secondi sia stato un flop colossale al botteghino. E dispiace soprattutto per Vincenzo Alfieri, uno che in passato ha dimostrato di saperci fare (sia con il suo film d'esordio, I Peggiori, ma soprattutto con il successivo Gli uomini d'oro, per chi scrive uno dei migliori noir italiani degli ultimi anni) ma che purtroppo da tempo non ne imbrocca più una... l'insuccesso di 40 secondi infatti dispiace, ma non sorprende. Per mille ragioni "tecniche" e distributive, spiegate da fior di addetti ai lavori, ma anche (almeno per quanto mi riguarda) da evidenti lacune stilistiche. Che provo a spiegare.

40 secondi è uno di quei film che arrivano in sala già avvolti da un' "aura" di importanza morale, come se solo il fatto di essere stati realizzati bastasse a giustificarne ogni scelta. Il problema è che il cinema non funziona così: puoi affrontare il tema più urgente, delicato e sensibile del mondo, ma se la messiscena è anemica la retorica poi si ritorce inevitabilmente contro di te. E di retorica in 40 secondi ce n'è a bizzeffe, oltretutto rimarcata da un impianto narrativo che invece di dare profondità agli eventi sembra piuttosto una coperta troppo corta tirata da tutte le parti. Il tentativo di ricostruire le ultime 24 ore di vita di Willy Monteiro si traduce in un mosaico di micro scene spesso inutili e quasi sempre timorose. Il film vorrebbe sembrare complesso, rifiutando la scansione temporale e procedendo secondo il punto di vista dei personaggi (una "trovata", anche questa, non proprio originalissima, vedi Kubrick o Kurosawa, anche se è blasfemo solo citarli) ma in realtà è del tutto vago: tanti personaggi, pochissime idee.

E, soprattutto, 40 secondi è un film che non ha il coraggio di sporcarsi. Vorrebbe sconvolgere, ma teme l'eccesso. Vorrebbe mostrare i fatti reali, ma teme l'emozione (colpa grave, per me). Il risultato è una ricostruzione scolastica che non morde, non scuote, non rimane. La violenza, quella vera, quella che dovrebbe lacerare lo spettatore, è trattata come una presenza da maneggiare in guanti di seta: sempre filtrata, sempre smorzata, sempre depotenziata, un po' come raccontare un urlo con un sospiro...

Sul piano visivo, poi, la regìa di Alfieri rincorre un realismo generico, quasi di fiction Rai innalzata inopinatamente a "film impegnato". La camera a mano traballa quel tanto che serve a far credere che ci sia vita dietro la macchina da presa, ma ci si accorge subito che è tutto plastificato, finto. Vedasi anche l'uso smodato dei primi piani, insistiti fino allo sfinimento, come se avvicinarsi alle facce dei protagonisti valesse quanto avvicinarsi alla loro interiorità: i personaggi però sono solo caricature morali, con i buoni che profumano quasi di incenso e i cattivi che sembrano usciti da un manuale di stereotipi sul disagio da palestra. Nessuna ambiguità, nessun dubbio, nessuna verità scomoda: solo un catalogo di intenzioni didascaliche travestite da impegno civile.

E poi c'è un altro aspetto, più formale ma non meno importante: per coloro che non vivono entro cinquanta chilometri da Colleferro, i dialoghi del film sono praticamente incomprensibili. Per chi non è romano o non padroneggia quello slang fatto di dialetto, inflessioni ed espressioni di quartiere, oltretutto parlato velocissimo e con un tono quasi sempre enfatico, sopra le righe, è impossibile capire le battute in assenza di sottotitoli (pessima scelta). L'idea di mantenere un forte realismo linguistico può essere certamente apprezzabile, ma quando metà delle frasi diventano un indistinto sproloquio dialettale, allora non siamo più nel campo dell'autenticità ma in quello dell'incuria. E guardate che questo aspetto riguarda parecchie produzioni del cinema italiano... fa sempre molto "figo" e pasoliniano l'uso del dialetto, ma se lo si fa a sproposito si scivola nel fastidioso.

40 secondi
è un film che sembra sempre sul punto di esplodere ma non lo fa mai, come se avesse la miccia bagnata. O come se avesse paura delle sue stesse intenzioni: vuole denunciare la violenza ma non vuole sporcarsi, vuole essere necessario ma non riesce ad essere incisivo. Tutto rimane sospeso in una terra di mezzo dove tutto è giusto, tutto è rispettoso, tutto è moralmente corretto e tutto è tremendamente innocuo. Si salvano solo gli attori, di cui solo un paio professionisti (Francesco Gheghi e Francesco Di Leva, oltre al cameo di Sergio Rubini) e il resto tutti debuttanti o quasi, dove spicca per carisma e presenza scenica il protagonista Justin de Vivo, davvero bravo.

Peccato, perchè 40 secondi avrebbe potuto essere uno schiaffo e invece si accontenta di un buffetto sulle guance. Un film che si guarda con rispetto, certo, ma senza mai provare quella "scossa", quel brivido lungo la schiena che un film del genere dovrebbe assolutamente provocare.

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