di Terrence Malick (USA, 2011)
con Brad Pitt, Jessica Chastain, Sean Penn, Laramie Eppler
VOTO: ***/5
Qualche recensore lo ha definito 'incommentabile', molti altri illustri 'luminari' si sono arresi nel cercarne il significato. The Tree of Life ha annichilito la critica cinematografica, ma ha conquistato immediatamente la giuria (e la platea) del Festival di Cannes. C'è poco da dire: i film di Malick non sono film 'per tutti'. Ne ero convinto prima e ne sono ancora più convinto adesso: questo non significa essere snob o sentirsi spocchiosamente superiore a coloro i quali il film non è piaciuto, anzi. Li capisco benissimo, e comprendo le loro ragioni. Il cinema è questione di sensibilità, e vedere un film di Malick mette a dura prova la tua resistenza, ti costringe a calarti in una dimensione filmica a cui non sei nè abituato nè preparato. Ma se hai la forza e la pazienza di restare incollato alla poltrona fino alla fine, non puoi non ammettere di aver avuto la fortuna di aver assistito a qualcosa di unico, irripetibile.
Sì, perchè proprio l'unicità è la caratteristica basilare del cinema di Malick. Le sue opere sono inclassificabili, non omologate nè omologabili, nè paragonabili a nessun altra cinematografia esistente. Lontane anni luce dalla produzione hollywoodiana, ma altrettanto distanti dalla produzione indipendente. Sono opere intime eppure magniloquenti, che non seguono alcun schema logico e ricorrono a tutte le potenzialità espressive permesse dalla settima arte, ben orchestrate da un regista 'di culto' che ormai, proprio in nome di questa sua esclusività può permettersi di tutto, anche di non apparire pubblicamente e non rilasciare interviste da decenni, per la 'gioia' degli addetti al marketing...
Ma veniamo a The tree of life, quinto film in quarant'anni di carriera, e senz'altro il più ambizioso (o pretenzioso, a seconda che lo si ami o meno). Come detto, è uno dei lungometraggi più indefinibili, misteriosi e criptici degli ultimi... decenni. Due ore e mezza di durata per quaranta minuti scarsi di dialoghi, intervallati da autentici deliri visivi, psichedelici, con un montaggio da capogiro: vediamo, in continuazione, scene di tranquilla vita domestica alternate a immagini dell'universo, inquadrature naturalistiche interrotte da mirabolanti effetti speciali, momenti e 'movimenti' di gente comune subito 'azzerati' da sequenze da 'Natural Geographic' che coinvolgono anche... la preistoria (ci sono perfino i dinosauri!) e la conseguente nascita della vita sulla Terra.
La trama (se di trama si può parlare) si riassume in tre righe: siamo nel Texas, anni '50, in una piccola cittadina di provincia vive una tipica famiglia piccolo-borghese, formata da una madre amorevole e comprensiva, un padre severo e autoritario e i loro tre figli, uno dei quali perde la vita all'età di 19 anni (non sappiamo come e perchè). Dopo tanti anni, il maggiore dei tre, ormai affermato manager, rivive i ricordi d'infanzia e sogna di incontrare di nuovo quel padre con cui ha avuto un rapporto conflittuale...
Solo una cosa è chiara: Malick paragona la vita dell'essere umano a quella dell'universo. La nascita (e la morte) di un figlio alle origini e alla fine del mondo. Come dire che l'universo è formato da tante piccole particelle insignificanti che, messe insieme, costituiscono la Natura e il motivo dell'esistenza. E forse insinua un dubbio: c'è davvero qualcosa dopo la morte? L'uomo è in grado di gestirsi da solo, oppure tocca alla Natura stessa regolare la vita?
Tutto il resto è insito nelle strabilianti alchimie visive che a molti hanno fatto scomodare Kubrick e 2001: odissea nello spazio, e d'altronde il fatto che la supervisione degli effetti speciali sia stata affidata al 'mitico' Douglas Trumbull (lo stesso, appunto, di '2001') non è certo passato inosservato. Le somiglianze ci sono: la maternità come 'l'alba dell'uomo', la Natura matrigna come il monolite nero che assumeva le sembianze di un'entità superiore e aliena, il 'passaggio' del feto dal ventre materno alla luce visto quasi come il 'trip allucinogeno' che conduceva Bowman dall'astronave a un'altra dimensione spazio-temporale.
Ma forse sono solo coincidenze o giochetti cinefili. E si potrebbe durare all'infinito: al sottoscritto, per esempio, la scena finale, dove vivi e morti si ritrovano in una spiaggia grigia e affollata ha ricordato non poco il finale (altrettanto visionario) di Underground, il capolavoro di Emir Kusturica. E si potrebbe andare avanti ancora...
Quello che è certo è che The tree of life è una grandiosa esperienza visiva, di formidabile impatto sullo spettatore. E forse solo (o soprattutto) un enorme esercizio di stile.
Ma clamorosamente affascinante.