martedì 1 luglio 2025

28 ANNI DOPO



titolo originale: 28 YEARS LATER (GB, 2025)
regia: DANNY BOYLE
sceneggiatura: ALEX GARLAND
cast: ALFIE WILLIAMS, AARON TAYLOR-JOHNSON, JODIE COMER, RALPH FIENNES, EDVIN RYDING
durata: 115 minuti
giudizio: 



Ventotto anni dopo l'epidemia di rabbia che ha devastato la Gran Bretagna, abbandonata a se stessa dal resto del mondo per evitare il contagio, un gruppo di sopravvissuti si è rifugiato nella piccola isola di Lindisfarne, dalla quale i suoi abitanti escono solo per cercare provviste sulla pericolosissima terraferma, ormai abitata solo da persone infette e orribilmente mutate... 



Sono passati ventotto anni (in realtà ventitrè...) dalla disperata fuga di Cillian Murphy in una Londra deserta e apocalittica, in un film che avrebbe avuto il merito di ridisegnare le regole dello zombie-movie. E dopo il dimenticabile intermezzo di 28 settimane dopo, firmato dallo spagnolo Fresnadillo, ecco che il regista Danny Boyle e lo sceneggiatore Alex Garland si ritrovano fianco a fianco per un nuovo progetto che, contemporaneamente, chiude il cerchio della prima trilogia per iniziarne una nuova. Un sequel che è anche un prequel, dunque, ma nel segno della continuità artistica e morale, dello spirito e dell'audacia nel proseguire un filone dichiaratamente politico ma anche intimamente umano. E vedremo perchè.

Tornano Boyle e Garland, dunque, e con loro anche il direttore della fotografia Anthony Dod Mantle, che insiste nel conferire al film un realismo quasi documentaristico, con immagini sgranate, sporche, e finti inserti di repertorio. Come 28 giorni dopo, anche questo nuovo capitolo è stato girato con una tecnica volutamente "amatoriale", utilizzando un I-Phone per le riprese allo scopo di enfatizzare l'opprimente senso di terrore, l'assurdità di un Apocalisse contemporaneo che sembra essere davvero a un passo dalla realtà. 

Perchè mentre il mondo è andato avanti, la Gran Bretagna è rimasta tragicamente indietro. Respinta, emarginata, abbandonata al proprio destino, allontanata da tutto e da tutti. Una terra di nessuno dove la civiltà si è fermata (se non regredita), dopo quasi tre decenni di isolamento nel segno del "mors tua vita mea", con il resto del pianeta che ha messo in quarantena forzata l'intera terra di Albione per evitare guai peggiori. Ogni riferimento alla Brexit e al post Covid non è certo casuale, e del resto lo stesso Boyle lo ha ammesso praticamente in ogni intervista, ma siffatto parallelismo è talmente facile e scontato che non può essere la sola chiave di volta di un film che in realtà ha significati ben più profondi.

Il protagonista, Spike (Alfie Williams), è un ragazzino dodicenne che vive in un'isoletta di sopravvissuti, collegata alla terraferma solo da una sottile passerella di pietre che viene ciclicamente sommersa dall'alta marea. La madre del ragazzo, Isla (Jodie Comer), è vittima di una misteriosa malattia che le provoca semi-infermità e vuoti di memoria. Il padre, Jamie, (Aaron Taylor-Johnson) è un uomo indurito e anaffettivo, che un giorno decide di "iniziare" il figlioletto all'età adulta accompagnandolo in una battuta di caccia sulla terraferma... la particolarità che le "prede" non sono gli animali bensì gli infetti, ovvero gli "zombie", coloro che non ce l'hanno fatta a salvarsi dal contagio, persone orrendamente mutate, portatrici del virus, che infestano le lande ormai desolate di quello che una volta era il Regno Unito. Jamie insegna a Spike come respingerli e come ucciderli, in quella che sarà la sua prima volta di fronte al pericolo. 

Spike
riesce a rientrare sano e salvo, ma paradossalmente si rende conto che è proprio la sua comunità, la sua famiglia, a provocargli il dolore più grande: durante la festa in suo onore scoprirà il tradimento del padre con un'altra donna e l'omertà della gente del posto, che per salvaguardare la propria esistenza gli tiene nascoste informazioni importanti, come l'esistenza (sulla terraferma) di un dottore mezzo matto
che potrebbe aiutare sua mamma a guarire. Quel dottore, interpretato con trasformismo estremo da Ralph Fiennes (grandioso), diventa il simbolo più potente della vera morale del film: il rapporto con la morte, il significato della memoria, la necessità di preservare entrambe per non cadere nella follìa collettiva.

Tutto infatti pare follìa intorno a Spike: un mondo senza telefoni cellulari, senza internet, senza televisione, senza alcuna nozione della civiltà precedente. L'idea di una civiltà extra-continentale sembra leggenda, blasfemìa, in una terra selvaggia che ha normalizzato la guerra intesa come sterminio di razza, annientamento. Nessuno pensa minimamente se ci sia una possibilità di curare gli infetti, ma solo alla loro soppressione, al modo più sicuro per ucciderli. Eppure anche quelle sono "persone", alcune delle quali perfino senzienti, i cosiddetti Alfa, che provano emozioni e sentimenti al pari dei sopravvissuti (la sequenza della "nascita" - non vi dico altro per non spoilerare - è assolutamente sconvolgente). 

28 anni dopo
è un film mozzafiato, che disorienta, indigna, impaurisce. Ma la paura non è tanto per quello che viene mostrato quanto per quello che racconta, il peso dell'apocalisse di un mondo caduto in rovina per la cattiveria degli uomini, la devastazione che persiste a lungo dopo che il sangue si è asciugato. Intendiamoci, Boyle sa come gestire la tensione, perenne, che tiene lo spettatore inchiodato alla poltrona dal primo all'ultimo minuto, ma le scene che alla fine si ricordano sono quelle in cui si viene chiamati di fronte alle nostre responsabilità: esemplare in questo senso è tutta la parte girata nel rifugio del dottore, che ci obbliga a riflettere sull'importanza della cultura, della conoscenza, del ricordo, della pietas, che è ciò che ancora distingue gli uomini dai mostri. Quella pietas, quell'umanità che dobbiamo rivolgere anche a noi stessi, per vivere più sereni e accettare le leggi della natura, compresa la morte: la riflessione sul "memento mori" e sul "memento amare", cioè "ricordati che devi morire, ma anche saper amare", è una delle sequenze più profonde e toccanti che mi sia capitato di vedere in questa stagione.

Peccato solo per il non-finale, posticcio e inevitabile (ma si poteva fare meglio...), che prelude ai capitoli successivi e lascia qualche dubbio sugli stessi (l'ultimissima scena fa temere un'improbabile reboot di Arancia Meccanica), ma per il resto, almeno per 110 minuti su 115, 28 anni dopo è uno dei titoli più personali, visionari e autoriali visti quest'anno. In un'epoca dove i film sugli zombi spesso degenerano nel trash più infimo, l'accoppiata Boyle-Garland si conferma invece, come sempre, assolutamente di gran classe

2 commenti:

  1. Molto bello, ha coinvolto molto anche me. L'horror è il genere che meglio rappresenta il nostro presente.

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    1. Assolutamente! Insieme alla fantascienza, aggiungo io ;)

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