Ancora Toni, sempre Toni, fortissimamente Toni.
Che Toni Servillo sia il più bravo attore italiano in circolazione, ormai lo sanno anche i sassi. E si sa che in Italia, vista la cronica carenza di grandi interpreti che affligge il nostro cinema, quando c'è un 'personaggio' che funziona viene spremuto fino all'ultimo come un limone. Tradotto: Servillo è grande, ma deve stare attento a non 'svendersi', a non inflazionarsi, pena la condanna a restare schiavo di un ruolo che potrebbe segnarlo per tutta la vita.
Il ruolo, ovviamente, è sempre quello di Titta DeGirolamo. Il latitante esiliato all'estero per espiare colpe antiche, nell'illusoria speranza di tagliare i ponti con il passato.
Una vita tranquilla, secondo lungometraggio di Claudio Cupellini, (ri)parte proprio da questo spunto, giocandosi così in partenza una buona fetta di originalità. Servillo è Rosario, ristoratore napoletano emigrato (così pare) nella fredda e umida periferia tedesca per cercare fortuna. Ha un ristorante avviato, una bella moglie teutonica, un bambino in età scolare e un'esistenza apparentemene serena. Ma già in una delle prime scene si capisce che qualcosa non quadra in questo confortante idillio: si vede Rosario nel giardino di casa che pianta lunghi chiodi negli alberi allo scopo di farli ammalare. In Germania abbattere gli alberi è quasi sacrilego e le autorità acconsentono al loro taglio solo se, appunto, sono malati. E questo è l'unico modo per ampliare la propria casa...
Attenzione: Rosario non è il classico 'palazzinaro' italico, nè tantomeno un ignorante irrispettoso della natura. E', semplicemente, un camorrista. Uno che è fuggito di nascosto in Germania per salvare la pelle, cercando faticosamente di ricostruirsi un'identità e una vita nuova. E figuriamoci se uno così si fa degli scrupoli ambientalisti!
Un giorno però accade qualcosa che va a minare il quadretto: nel ristorante si presentano due ragazzi napoletani, capitati fin lì 'in viaggio d'affari' e decisi a non andarsene prima di aver completato la loro 'missione'. Uno di questi è Diego, il figlio segreto di Rosario, abbandonato parecchi anni prima durante la fuga; l'altro è un suo complice, che tra l'altro conosce bene il padrone di casa... i due, ovviamente, sono venuti per uccidere: nella fattispecie, un ricco imprenditore locale che sta per concludere una commessa da venti milioni di euro per incenerire i rifiuti campani.
Rosario è, chiaramente, sconvolto ma non sorpreso. In un certo senso se lo aspettava. Sapeva che il passato (leggi la camorra), prima o poi ti viene a chiedere il conto, e tanto più è antico tanto più è salato. E stavolta il prezzo da pagare è davvero alto...
Una vita tranquilla è, principalmente, un film sul rapporto tra padri e figli. Sul passato che ritorna, e che le distanze non possono annullare. Sul conflitto d'interesse di un figlio perduto, che sta 'dalla parte sbagliata', e che vede il suo posto spodestato da un ragazzino biondo che va a scuola e parla tedesco... La materia, come si vede, è interessante e delicata. E sarebbe stata una buona occasione per girare una pellicola intimista e introspettiva, che andasse a scandagliare nelle teste e nelle esistenze di due personaggi agli antipodi per età, sentimenti e modo di vivere.
Il regista invece sceglie la strada più facile, quella del thriller, e riempe il film di sparatorie, assassinii, inseguimenti in auto, rapimenti. Ed è qui che delude: la trama gialla non è sorretta a modo da una sceneggiatura che fa acqua in più punti, e molte cose finiscono col non tornare e mettendo in secondo piano quello che è, come detto, l'assunto principale del film.
A salvare il film è manco a dirlo Toni Servillo, che qui è ancora una volta straordinario: la sua interpretazione di un mafioso latitante che si vede crollare addosso il mondo che si era costruito è davvero magistrale. Molto più della caricatura macchiettistica del Gorbaciof di Incerti. Qui l'attore napoletano lavora per sottrazione, sostituendo smorfie e tic con una recitazione dolente e composta, ferocemente 'normale'.
Niente da dire, anche se ci piacerebbe vederlo magari meno spesso ma in ruoli diversi e non stereotipati. Uno di questi è il suo impegno in Noi credevamo di Martone, dove Servillo interpreta Giuseppe Mazzini, in un ruolo temporalmente risicato ma non certo marginale. Forse il migliore tra tutti quelli interpretati in quest'anno di super-lavoro. Esce venerdì nelle nostre sale, e vi consiglio vivamente di non perderlo.
VOTO: * * *