
titolo originale: LA VALLE DEI SORRISI (ITALIA, 2025)
regia: PAOLO STRIPPOLI
sceneggiatura: JACOPO DEL GIUDICE, PAOLO STRIPPOLI, MILO TISSONE
cast: MICHELE RIONDINO, GIULIO FELTRI, ROMANA MAGGIORA VERGANO, PAOLO PIEROBON, ROBERTO CITRAN, SERGIO ROMANO
durata: 122 minuti
giudizio: ★★★★☆
Sergio Rossetti, un insegnante di educazione fisica dal passato oscuro, viene trasferito per una supplenza a Remis, un piccolo borgo di montagna in cui ogni abitante sembra vivere una serenità innaturale. Scoprirà ben presto che dietro quei "sorrisi" si celano rituali inquietanti, tutti legati alla figura di un ragazzo del posto...
C'è un villaggio immerso nelle montagne del nostro Nordest dove tutti sorridono, eppure quel sorriso (largo, caloroso, insistente) sarà probabilmente una delle cose più inquietanti che vedrete quest'anno al cinema. Perchè con La valle dei sorrisi il regista Paolo Strippoli firma un horror che non si accontenta di spaventare: ha anche la pretesa (riuscendoci) di insinuarsi lentamente nelle coscienze degli spettatori per farli riflettere sulla percezione del dolore e il bisogno collettivo di redenzione.
Dopo il cupo Piove e il citazionista A classic horror story (girato in coppia con Roberto De Feo), Strippoli si conferma come voce assolutamente originale nel panorama horror italiano, questa volta abbandonando le coordinate più classiche del genere per addentrarsi in un "folk horror" spirituale, intimo e dilatato nei tempi, dove il male non si manifesta con sangue o demoni bensì con il consenso silenzioso di una comunità intera. La valle dei sorrisi è un film importante, per nulla facile, capace di incrociare la tensione narrativa con un ragionamento etico profondo, unito peraltro a una tecnica sopraffina: girato quasi tutto alla luce del giorno (e la nostra mente non può non andare a Midsommar di Ari Aster) grazie alla fotografia spettrale, plumbea di Luca Nervegna, il film si rivela angoscioso fin dalle prime inquadrature, dove nonostante la bellezza naturistica dei paesaggi alpini si avverte comunque, in ogni momento, un'atmosfera ostile...
La storia segue Sergio Rossetti (interpretato con intensità e misura da un convincente Michele Riondino), un'insegnante di educazione fisica devastato da un doloroso fatto personale (che ovviamente non sveliamo) che viene spedito per una supplenza di tre mesi nel piccolo borgo montano di Remis. Un paese (immaginario) dove tutto, in apparenza, sembra perfetto: aiuole curate, prati verdi, gente accogliente che sorride sempre a tutti. Ma l'armonia è solo apparente: come Sergio scoprirà ben presto, ogni settimana gli abitanti del paese si sottopongono a un sinistro rito collettivo che consiste nell'abbracciare uno dopo l'altro un ragazzo del posto, Matteo (Giulio Feltri), un adolescente introverso che possiede l'incredibile capacità di "assorbire" il dolore altrui. Una specie di figura mistica, sacrificale, un totem, che diventa il centro spirituale e fisico del villaggio. E, manco a dirlo, sarà proprio Sergio, giunto sull'orlo della follìa a forza di vedere tutta quella gente con un sorriso finto stampato in faccia, a scardinare pezzo dopo pezzo il patto sociale e omertoso che tiene insieme la "valle dei sorrisi".
Strippoli costruisce il film con una regìa mai invadente, estremamente controllata. Evita l'esibizionismo, rifugge il jump scare facile e lavora piuttosto con le inquadrature lunghe, spesso oltre il normale, con un uso sapiente dei suoni e anche dei silenzi. Anche la sceneggiatura, scritta dallo stesso Strippoli con Jacopo Del Giudice e Milo Tissone, preferisce suggerire piuttosto che spiegare, lasciando per una volta allo spettatore il gusto di ragionare, di interrogarsi sugli sviluppi della trama, di immaginarsi un epilogo per forza di cose catartico pur arrivando dopo (forse) un po' troppi finali sovrapposti. E' l'unico difetto oggettivo di un film ad ogni modo importante e particolare.
Buono e funzionale anche il cast, seppur con qualche stereotipo di troppo. Oltre a Riondino spiccano comunque le prove del sedicenne Giulio Feltri, intenso e inquietante senza mai forzare (non era facile, al debutto assoluto al cinema), e quella di Paolo Pierobon nel ruolo del padre, personaggio subdolo, debole, asservito alle folli regole della sua comunità. Ma la vera forza del film sta tutta nell'interrogativo morale cui assistiamo fin dall'inizio: se davvero potessimo liberare il nostro dolore saremmo disposti comunque a farlo, sapendo che ciò graverà sulle spalle di un altro? Una domanda che ti inchioda e ti lascia sospeso, stranito. Come sospeso è il clima del film, una delle opere più convincenti del "nuovo" horror italiano, capace di rimanerti in testa anche per ore e per giorni dopo la visione, interrogandoti sulla necessità della sofferenza. Perchè non esiste felicità senza memoria, senza ragionare sugli sbagli del passato. E cancellare il dolore non significa superarlo.
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