venerdì 28 novembre 2025

UN SEMPLICE INCIDENTE



titolo originale: YAK TASADOF-E SADE (FRANCIA/IRAN, 2025)
regia: JAFAR PANAHI
sceneggiatura: JAFAR PANAHI
cast: VAHID MOBASSERI, MARIAM AFSHARI, EBRAHIM AZIZI, HADIS PAKBATEN, MAJID PANAHI
durata: 102 minuti
giudizio: 



Iran, oggi. Rientrando a casa, un uomo investe un cane danneggiando l'auto. Costretto a chiedere aiuto alla prima officina nei paraggi, il conducente crede di riconoscere nel meccanico giunto in suo soccorso l'ufficiale dei Servizi Segreti che lo aveva torturato anni prima... 




Ci aveva stretto il cuore tre anni fa a Venezia Jafar Panahi, dove vinse il Leone d'argento con Gli orsi non esistono, film emotivamente sconvolgente che vedeva protagonista se stesso, nei panni di un regista che gira un finto film per aiutare due concittadini a fuggire dall'Iran e rifarsi una vita altrove. Come ricorderete, Panahi non potette presentarsi a ritirare il premio perchè all'epoca si trovava in carcere, arrestato dal regime degli ayatollah proprio per aver diretto quel film. Tre anni dopo, con immensa soddisfazione di tutti, Panahi ha potuto invece stringere personalmente tra le mani e tra gli applausi nientemeno che la Palma d'oro di Cannes, finalmente libero e sempre più deciso a raccontare le terribili storture del proprio Paese. Per questo motivo, a mio personalissimo parere, Un semplice incidente è un film di importanza anche superiore a Gli orsi non esistono, proprio per quello che rappresenta.

Se infatti il riconoscimento a Gli orsi non esistono (che rimane un gran film, intendiamoci), poteva essere inficiato dall'onda emotiva scatenatasi in seguito all'arresto, Un semplice incidente è un film totalmente "libero", prodotto con capitali francesi (non a caso rappresenterà la Francia ai prossimi Oscar) e girato in Patria senza il veto formale del governo iraniano (che comunque non era stato informato della cosa, a scanso di equivoci). Per questo, sebbene Un semplice incidente possa apparire come un titolo quasi più "leggero" e controllato rispetto a Gli orsi non esistono  (con le debite proporzioni, ovviamente, si parla pur sempre di dittatura), dal punto di vista strettamente cinematografico è valutabile senza condizionamenti o pregiudizi di qualsiasi tipo. Il risultato però è sempre lo stesso: un film di grande spessore, anche se più cerebrale e meno coinvolgente. 

Un semplice incidente
è infatti uno di quei film che si muovono in modo discreto, quasi silenzioso, lasciando che una situazione in apparenza banale (un tamponamento, due sconosciuti che si incontrano per caso) diventi pian piano il centro di una tensione ben più profonda e radicata sotto pelle. Panahi costruisce la storia con il suo solito stile asciutto: pochi movimenti di macchina, dialoghi essenziali, volti e situazioni più osservate che spiegate. Il film lavora molto sulle zone d'ombra, sui dubbi che si insinuano tra i personaggi, su quella memoria imperfetta che può trasformare tutto in un terreno scivoloso. Ci sono momenti di grande efficacia, soprattutto quando la narrazione insiste sui dettagli, sugli sguardi sospetti, su silenzi che pesano più delle parole. Le interpretazioni degli attori funzionano proprio perchè rimangono misurate, trattenute, con una naturalezza che si sposa bene con il realismo generale del film.

L'abilità di Panahi, che poi è quella di tutti i grandi del Cinema, è prendere un episodio semplice per costruirci sopra un chirurgico pamphlet con cui osservare il peso del passato, della storia, rappresentando il bisogno di giustizia e la fragilità emotiva di chi non ha ancora fatto i conti con le proprie ferite. Vedendo Un semplice incidente per la prima volta si ha l'impressione che racconti un Paese "normale", l'Iran appunto, dove la dittatura pare inizialmente non esistere, salvo poi tornare di colpo, brutalmente e in modo inaspettato, come a volerci ricordare che ogni totalitarismo affonda le proprie radici nella paura, nella psiche delle persone comuni.

Certo, alcune sequenze appaiono un po' dilatate, e il ritmo in certi passaggi richiede pazienza. Diciamo pure per tutta la (lunga) parte iniziale. Ma è una scelta coerente con la volontà di Panahi di lasciare spazio alla concentrazione e perfino alla sdrammatizzazione (per quanto possibile, il film è anche molto ironico). Non è un'opera che cerca l'effetto o la denuncia diretta: preferisce muoversi per sottrazione, lasciando che lo spettatore completi quello che i protagonisti non riescono a pronunciare. Ne esce fuori un film solido, intimo, che non vuole impressionare ma che resta in mente proprio per il suo modo semplice e umano di affrontare temi sempre dolorosi.


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