titolo originale: JAY KELLY (USA, 2025)
regia: NOAH BAUMBACH
sceneggiatura: NOAH BAUMBACH, EMILY MORTIMER
cast: GEORGE CLOONEY, ADAM SANDLER, LAURA DERN, BILLY CRUDUP, GRACE EDWARDS, RILEY KEOUGH, ALBA ROHRWACHER, STACY KEACH
durata: 132 minuti
giudizio: ★★☆☆☆
Jay Kelly, divo hollywoodiano stanco e annoiato, si decide controvoglia a intraprendere un tour promozionale in Toscana insieme al suo agente e amico Ron. Sarà l'occasione per per fare il punto sulle rispettive crisi di mezza età e, soprattutto, per stare finalmente vicino alla propria famiglia...
Più ripenso a Jay Kelly e più mi chiedo che cosa ci facesse un film del genere in concorso a Venezia... e purtroppo non mi vengono altre risposte se non quella più brutale: Jay Kelly è il prezzo che la Mostra deve pagare a Netflix per ospitare nel palinsesto qualche film più importante della stessa "scuderia" (tipo il Frankenstein di Del Toro) e per portare al Lido star affezionate (in questo caso George Clooney) in grado di garantire alla rassegna divismo e marketing. Forse sarò prevenuto, lo ammetto, ma proprio non riesco ad amare il cinema patinato ed estetizzato di Baumbach (salvo in rare eccezioni, tipo Storia di un matrimonio), che pare fatto apposta per il pubblico di Netflix: impeccabilmente superficiale, ma sempre, costantemente di poca, pochissima sostanza.
In Jay Kelly Clooney interpreta, con chiari echi autobiografici, un attore sessantenne di grande successo logorato dai rimpianti e dalle scelte fatte per rimanere al centro della scena. Ma la sceneggiatura piatta, indulgente, nonchè l'ambientazione da cartolina, trasformano la sua introspezione in un esercizio più aggraziato che emotivo. E nonostante un cast importante (in cui spicca un intenso Billy Crudup) tutto il film si mantiene sempre su livelli da brochure turistica, privo di qualsiasi complessità e velleità autoriale.
E, a proposito di "turismo", davvero non possiamo non restare insofferenti di fronte all'ennesima, stanca, trita, banale rappresentazione dell'Italia e della Toscana vista con occhi americani: la solita cartolina stereotipata, con borghi perfetti e perfino finti (come l'inesistente stazione di Pienza), panorami da calendario, cibo, vino e musica a volontà. Gli italiani per Baumbach non esistono come persone ma solo come elementi scenografici per una visione americana idealizzata, superficiale e stucchevole. Una scelta unicamente estetica che mina la profondità del racconto, quando invece il film dovrebbe esplorare le fragilità e i conflitti interiori del protagonista. Ma in Jay Kelly tutto rimane immerso in un'atmosfera mielosa e piena di rischio, per 132 interminabili minuti dove ci si chiede quando mai accadrà qualcosa di davvero significativo...
Sul piano narrativo, Jay Kelly prova a (far) riflettere sul prezzo della fama, sulla nostalgia e sui rimpianti personali, ma lo fa in maniera sempre troppo indulgente: le crisi di Jay/Clooney non paiono mai troppo serie, le riflessioni sulla carriera e sulle relazioni umane si traducono in momenti di introspezione poco incisivi e la morale del film, che sembra volerci dire che il successo senza autenticità lascia un vuoto, e che solo l'onestà verso se stessi e gli altri può dare senso alla vita, arriva in maniera sbiadita e poco convinta. La regìa intimista di Baumbach funziona solo a sprazzi, e la continua alternanza tra drammi interiori e panorami da cartolina finisce per rendere ancora più frammentato un ritmo non esattamente adrenalinico (è un eufemismo)
In definitiva, Jay Kelly rimane un esercizio elegante di stile e recitazione ma molto deludente nella sostanza. E' perfetto per chi cerca un film malinconico, capace (anche) di divertire grazie a qualche singola performance e (poche) originali battute sul prezzo del successo, ma è tutto tranne che tagliente, satirico, caustico o perfino doloroso, in grado di farti percepire una qualche minima emozione. E' un'esperienza dolceamara, elegante, a tratti godibile, ma davvero mai rivoluzionaria.


Condivido: amo Clooney ma questo film è piattissima, non si accende mai. La sceneggiatura mi è parsa quasi "naif", avrebbe potuto scriverla un bambino. Che peccato.
RispondiEliminaBuona serata.
Mauro
Lo sto vevdendo e già posso concordare con diversi stereotipi..ma solo il duetto con Crudup vale tre quarti di Roma Film Fest.. ;)
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