titolo originale: THE BIKERIDERS (USA, 2023)
regia: JEFF NICHOLS
sceneggiatura: JEFF NICHOLS
cast: AUSTIN BUTLER, TOM HARDY, JODIE COMER, MICHAEL SHANNON, MIKE FAIST
durata: 116 minuti
giudizio: ★★★★☆
Chicago, fine anni '60. Un giovane reporter, Danny Lion, intende ripercorrere la storia dei Vandals, una leggendaria banda di motociclisti che fino a pochi anni prima imperversava per le strade di tutta l'America, per farne un libro fotografico. Lo aiuterà una donna, Kathy, all'epoca compagna di uno dei leader del gruppo e "voce narrante" del film
Da Easy Rider a Il Selvaggio, passando per Lucio Battisti ("motocicletta, 10hp... tutta cromata") da sempre la moto è simbolo di libertà, di insofferenza alle regole imposte, di stile di vita. E Jeff Nichols, regista di film mai banali, prende in prestito l'epopea degli Outlaws MC (uno dei più longevi bikers club degli Stati Uniti, che nel film diventano i Vandals di Chicago) per raccontarci un pezzo importante di storia americana e, parallelamente, anche l'America di oggi. Così, sulla falsariga di altre pellicole stilisticamente affini (la prima che mi viene a mente è Boogie Nights di P.T. Anderson, altro mirabile spaccato d'epoca), The Bikeriders affronta l'ascesa, l'apice e l'inevitabile declino di una delle tante sottoculture che negli anni '60 e '70 imperversavano nel Nuovo Continente, di pari passo con l' American Dream.
Ispirato all'omonimo libro fotografico di Danny Lion (nel film interpretato da Mike Faist), The Bikeriders è una dolente, nostalgica ballata sul tempo che fu e su un mondo epico, libertino, che non poteva essere altro che figlio dell'epoca stessa: i motoclub erano infatti più una filosofia di vita che associazioni in senso stretto, erano gruppi (o meglio "branchi") di personaggi alternativi, di outsiders, diciamo pure in massima parte di debosciati, il più delle volte nullafacenti, che divoravano le routes americane a bordo di moto assemblate in proprio e conducendo una vita sregolata e piena di eccessi, ma ma comunque senza fare del male a nessuno tranne che, a volte, a loro stessi, per i metodi alquanto "spicci" praticati all'interno della loro comunità.
L'intuizione (felice) del regista è quella di farci rivivere questo momento storico attraverso il punto di vista una donna, Kathy (Jodie Comer), ovvero la compagna del bel tenebroso Benny (il lanciatissimo Austin Butler), uno dei membri più carismatici del gruppo e destinato a diventare il futuro successore di un leader ormai a fine corsa, un disilluso Tom Hardy (che nel film si fa chiamare Johnny, con chiaro riferimento al Marlon Brando de Il Selvaggio). Lo sguardo di Kathy è quello di una figura agli antipodi rispetto al mondo che descrive: un ambiente rude, mascolino e maschilista, nemmeno troppo velatamente omosessuale, dove le donne erano semplici oggetti, corpi estranei, attrici non protagoniste di un'universo che non le contemplava affatto. Kathy è allo stesso momento vicina a quello che racconta ma in realtà ai margini di una comunità inscalfibile verso la quale, lo capisce subito dal comportamento di Benny, sarà sempre subalterna.
Nichols non prende posizione rispetto a quello che mostra nel film, comunque ammirevole per l'accurata ricostruzione d'epoca: quello che interessa al regista è rappresentare un mondo che non c'è più, il declino di un'illusione, la rovinosa fine di un Sogno anarchico che inevitabilmente di lì a poco degenererà nella violenza e nel malaffare, trasformando i motoclub in organizzazioni criminali. Ma nel periodo intercorrente la metamorfosi c'è comunque tutta una storia affascinante, memorabile, che merita di essere raccontata e di cui The Bikeriders riesce a renderci felicemente partecipi, spettatori interessati e appassionati di questo spaccato d'epoca fatto di figure quasi bambinesche, infantili, che provano a fuggire dai loro problemi condividendo una passione forte.
Un film che parte piano, che ci mette un po' a carburare, come i chopperoni cavalcati dai suoi protagonisti, ma che una volta entrato nel mood riesce a tirar fuori emozioni vere, nel malinconico ricordo di un' America lontana nel tempo ma forse non così distante da quella moderna, dove l'emarginazione e i pregiudizi verso chi non si "conforma" al politically correct non sono certo diminuiti, anzi. Ottimo cast corale, dove giganteggia il già citato Tom Hardy, che sembra nato per la parte. Ma anche Michael Shannon, ormai attore feticcio di Nichols, nel suo piccolo cameo è semplicemente strepitoso.
Il paragone con Boogie Night è davvero azzeccato: stessa malinconia di fondo, stesso finale amaro. Come la storia dell'America.
RispondiEliminaBella recensione.
Un caro saluto e buon weekend.
Mauro
Grazie Mauro. Sì, "Boogie Nights" è il primo titolo che mi è venuto in mente vedendo questo film: stessa nostalgia, stessa malinconica fine di un'epoca.
EliminaRicambio volentieri i saluti :)
Piuttosto compassato ma bello. Rende bene l'atmosfera dell'epoca.
RispondiEliminaComincia piano, sì, anche un po' frammentario all'inizio. Ma poi la Storia si dipana alla grande.
EliminaNulla dura per sempre. Le illusioni fuggono, insieme al Sogno Americano ancora una volta calpestato. Lo sguardo disilluso di Tom Hardy è lo specchio di un film crepuscolare, volutamente lenti, che ti mette volutamente a disagio per quello che poteva essere e non è stato. Non credo lo rivedrò ma è innegabile che ha raggiunto il suo scopo.
RispondiEliminaD.
Perché non lo rivedrai? Io credo invece che questo film col tempo "decanterà" bene...
Elimina(monty) Leggendo la tua appassionata recensione e i commenti che precedono il mio forse è opportuno che riveda il film perchè a me non ha convinto appieno, ma non sarebbe la prima volta che prendo un granchio.
RispondiEliminaPerchè mi ha lasciato parzialmente insoddisfatto: 1. Tom Hardy è forse l'attore che prediligo della sua generazione, rispettarlo significa anche dargli un doppiaggio adeguato, qui quando ho sentito le sue prime linee di dialogo volevo scappare urlando dalla sala. Capisco che probabilmente, con l'età, sono diventato insofferente verso questi aspetti che per altri sono (legittimamente) marginali
2. in attesa di rivederlo (in lingua originale) a non convincermi è stato anche altro: la modalità del racconto a mio avviso non trova l'equilibrio tra narrazione di fatti realmente accaduti e la finzione;
la figura di un Butler (Benny) bello e cool all'inverosimile fa sonoramente a cazzotti con ogni pretesa di verosimiglianza e, infine, mi ha infastidito la prevedibilità del plot: dal momento in cui il selvaggio The Kid irrompe sulla scena si sa già come andrà a finire. E, infatti, così finisce.
Chiaramente non sto parlando di un film inguardabile, per me si aggira attorno alla sufficienza, ma avrebbe potuto volare più alto (al netto di rivalutazioni).
Ciao, e grazie di questo bellissimo commento :)
EliminaNon serve che tu riveda il film, o se vuoi rivederlo fallo pure ma solo per tuo piacere personale: ognuno la vede a modo suo e ogni opinione è rispettabile, specie se ben argomentata come la tua. Sai, io credo che per i film come questo molto dipenda dal proprio "mood", dalla propria indole: io sono un tipo malinconico per natura, incline al pessimismo, molto disilluso, il perfetto boomer ;) e "The Bikeriders" assomiglia molto al mio modo di vedere la vita. Inoltre, a me piacciono molto i film che raccontano storie di outsiders per raccontare la storia di una nazione (in questo caso l'America) e ammetto di essere molto più interessato a questo aspetto piuttosto che a quello puramente stilistico. Comprendo le tue rimostranze, sono plausibili: sul doppiaggio sono d'accordo con te, purtroppo in Italia è un "male necessario", tuttavia non è che ci siano poi tanti dialoghi così profondi nel film... diciamo che l'ho sopportato. E poi c'è Butler, che una mia cara amica definisce "l'uomo attualmente più bello del mondo", indubbiamente non del tutto credibile in un mondo di debosciati fancazzisti come quello dei bikers. Però devo anche dire che Butler è bravo a non atteggiarsi e a interpretare la figura di un uomo (bellissimo) che potrebbe avere donne, soldi e fama ai suoi piedi e invece non intende uscire da un mondo che rimarrà il "suo" mondo. Per me è una prova d'attore più che convincente. Infine, due parole sul finale. Che, certo, è sicuramente prevedibile, ma non lo considero un difetto dal momento che sappiamo come finirà la storia (proprio perchè è storia) e del resto non può esserci un lieto fine in un film così crepuscolare. Non è importante quello che si racconta ma COME lo si racconta, almeno secondo me.
(monty) vi segnalo questa lunga intervista a Lyon e Nichols di Rolling Stone:
RispondiEliminahttps://www.rollingstone.it/cinema-tv/interviste-cinema-tv/la-storia-dietro-the-bikeriders-e-ancora-piu-incredibile-del-film/923007/
Lunga, ma si legge davvero d'un fiato: che bella! E' proprio vero che quasi sempre la realtà supera la fantasia... grazie per la segnalazione!
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