lunedì 18 settembre 2023

VENEZIA 80: IL "PAGELLONE"


Ed ecco finalmente il consueto post con le mie "pagelle veneziane": in netto ritardo causa i tanti, troppi impegni privati del sottoscritto ma (spero) esaustivo come sempre per fornirvi una panoramica di quello che ci ha riservato in termini qualitativi questa 80. Mostra del Cinema. Tirando le somme, possiamo dire che è stata un'edizione più che positiva dove, pur mancando il filmone che mette tutti d'accordo (forse potrebbe diventarlo Poor Things di Lanthimos, Leone d'oro a furor di popolo, ma solo il tempo ce lo dirà) abbiamo visto comunque un bel numero di titoli a quattro stelle e tanti film medi, magari imperfetti ma interessanti. Non sono mancate naturalmente le delusioni e le ciofeche vere e proprie, è fisiologico, ma nel complesso questa Venezia 80 si è dimostrata all'altezza del suo prestigio e al passo coi tempi. Nella lista mancano film importanti che non sono riuscito a vedere o che ho evitato accuratamente e di proposito (Dogman, Finalmente l'alba, Comandante, Kobieta z...) ma in ogni caso questi 30 titoli, nel bene e nel male, sono quelli che mi sono rimasti impressi. Appuntamento al prossimo anno!
 



POOR THINGS
(di Yorgos Lanthimos, GB/IRL/USA - Concorso) 

I film di Lanthimos mi incutono sempre un po' di timore: gli riconosco la capacità di osare ma non sempre quella di fermarsi entro i limiti del buon gusto. Stavolta però c'è solo da applaudire: Poor Things è una splendida favola adulta capace di emozionare, divertire, commuovere e far riflettere. Mi fa specie che una pellicola così gioiosamente femminista e progressista l'abbia diretta un uomo: l'emancipazione di Bella, giovane freak creata in laboratorio e cresciuta in un ambiente "sconveniente" diventa via via la storia di una donna risoluta, determinata, sessualmente libera e sicura di sè. Nell'Europa bigotta e reazionaria del XIX secolo quello di Lanthimos diventa un inno alla libertà, al rispetto e alla ribellione per le donne e per tutte le "povere creature" discriminate dalle convenzioni sociali. Leone d'oro strameritato e meravigliosa Emma Stone: candidatura all'Oscar in arrivo.



EVIL DOES NOT EXIST
(di Ryusuke Hamaguchi, Giappone - Concorso) 

Un tranquillo villaggio di montagna rischia di vedere stravolto il suo ecosistema naturale e sociale dalla costruzione di un campeggio di lusso per clienti facoltosi. Il regista di Drive my car mette in scena un'opera chirurgica, perfetta nel mettere a fuoco non solo l'eterno confronto tra uomo e natura, ma soprattutto l'equilibrio fragile del mondo e di noi stessi. Contraendo i tempi lunghi e asciugando all'osso i dialoghi, Hamaguchi ci regala in poco più di un'ora e mezza un film di struggente lirismo, che tuttavia non manca di sconvolgere lo spettatore con crescendo emotivo ansiogeno e angoscioso, che trova epilogo in un finale di sconvolgente intensità.



IO CAPITANO
(di Matteo Garrone, Italia - Concorso) 

Non invidio per nulla i critici di professione perchè certe volte non è proprio facile trovare le parole adatte per scrivere di un film quando invece, almeno per quanto mi riguarda, sarebbe preferibile il silenzio e la testa bassa di fronte a un'opera del genere e soprattutto a quello che ci viene mostrato. Che, lo dico subito, va oltre la critica spicciola perchè dopo aver visto Io Capitano si ha poca voglia di parlare e ancor meno di scrivere. Il film di Garrone NON è un racconto di disperazione, anzi... è la storia di due ragazzi che rivendicano il diritto di inseguire i loro sogni, come tutti i ragazzi del mondo. Una volta si parlava di film "necessari", mentre ormai esistono solo i film "resistenti". Questo è uno di quelli.



HIT MAN
(di Richard Linklater, USA - Fuori Concorso) 

Il nuovo film di Richard Linklater è un gioiellino che avrebbe meritato il concorso principale: Gary Johnson (Glen Powell) è un anonimo professore universitario che per arrotondare lo stipendio lavora part-time per la polizia. Il suo compito è quello di fingersi un sicario professionista per arrestare in flagrante i mandanti degli omicidi. Tutto bene finchè un giorno gli si presenta davanti la bellissima Madison (Adria Arjona), una ragazza che vuole liberarsi del marito violento. Ovvio che da quel momento la vita del dimesso Gary cambierà radicalmente. Ispirato a un'incredibile storia vera, Hit Man è un'irresistibile black-comedy che si regge su una sceneggiatura di ferro e l'alchimia tra i due bravissimi protagonisti.  



FERRARI
(di Michael Mann, USA - Concorso) 

Non piacerà a chi non ama l'automobilismo. Non piacerà a rifiuta l'idea di un cinema classico, dal respiro antico, lontano anni luce dalle atmosfere da videoclip tanto in voga adesso. Non piacerà a chi vuol vedere a tutti i costi la pagliuzza nella trave (leggi la "lingua" del film, un inglese italianizzato che a noi - ma solo a noi - appare ridicolo, questo è un raro caso di un film che guadagnerà tantissimo dal doppiaggio). Non piacerà ai critici che, chissà perchè, ai festival aborrono la narrazione popolare... per la restante parte dell'universo invece sarà un film bellissimo. Ovvio, è un film di Michael Mann.



MAESTRO 
(di Bradley Cooper, USA - Concorso) 

Dopo A star is born, Bradley Cooper sembra averci preso gusto nel portare la grande musica al cinema. Maestro è la biografia autorizzata di Leonard Bernstein, forse il più famoso direttore d'orchestra della storia recente. Ma, a differenza del patinato A star is born, Maestro è un film profondo, elegante, emozionante: racconta in particolar modo la vita privata dell'artista e il suo delicato rapporto con la moglie Felicia, che amava nonostante la propria conclamata omosessualità. Cooper non sfigura affatto nell'interpretare l'artista (probabile candidatura all'Oscar per lui), ma Carey Mulligan è semplicemente superlativa.



EL CONDE
(di Pablo Larraìn, Cile - Concorso) 

Tutto il cinema di Larraìn gravita intorno alla figura di Augusto Pinochet, finora mai direttamente in scena eppure sempre presente, come una specie di convitato di pietra a monito delle future generazioni. Ma giunto al suo decimo film il regista cileno affronta il toro per le corna e gli "dedica" un'opera disarmante, inaspettata: una specie di dark-novel orrorifica, irriverente e splatter dove a farla da padrone è una satira pungente e mai banale. Pinochet è un vampiro di 250 anni che di volta in volta rinasce per succhiare il sangue della dittatura. L'allegoria è chiara: ogni totalitarismo trae linfa dalla paura, dalle vittime inermi, e può tornare in qualsiasi momento. Divertente, inquietante, girato in uno sfavillante bianco e nero, interpretato da attori fantastici (tra i quali si rivede ancora una volta il bravo Alfredo Castro).



MAKING OF
(di Cédric Kahn, Francia - fuori concorso) 

Un regista in crisi prova a portare a termine un film "impegnato" sulle lotte operaie e la militanza politica, nonostante l'abbandono del produttore e i soldi che finiscono. Sul set un giovane stagista coronerà il proprio sogno di lavorare nel cinema e troverà (forse) anche l'amore, sebbene il suo futuro rimanga comunque incerto. Una di quelle pellicole amabilmente francesi, delicata, divertente ma non priva di riflessioni sociali, che il regista Cedric Kahn dirige con mestiere e fantasia. Una delle sorprese di Venezia 80.



MEMORY
(di Michel Franco, Messico/USA - Concorso) 

Michel Franco si conferma regista interessante e duttile: il suo stile asciutto, asettico, chirurgico è molto diverso da quello dei suoi connazionali più famosi (Cuaròn, Inarritu, Del Toro su tutti) ma altrettanto personale ed efficace. Terza partecipazione a Venezia consecutiva (dopo Nuevo orden e Sundown) e terzo film riuscito, uno dei migliori in Concorso. Una donna con un passato oscuro di abusi e violenze (Jessica Chastain, intensissima) incontra un uomo affetto da demenza precoce (Peter Sarsgaard, vincitore della Coppa Volpi come miglior attore): l'incontro tra queste due solitudini porterà a una relazione complicata ma sincera, che obbligherà entrambi a guardare oltre il proprio vissuto e ricostruirsi una vita.



PRISCILLA
(di Sofia Coppola, USA - Concorso) 

Amo da sempre il cinema di Sofia Coppola per la sua coerenza, la sua delicatezza, la sua capacità di arrivarti al cuore con incredibile soavità, in punta di piedi, senza mai urlare, mettendo in scena le sue "ossessioni" di sempre: attraverso la figura di Priscilla Presley, moglie-bambina del divo di Memphis, la figlia del grande Francis ci parla ancora una volta di inadeguatezza (quella di una sconosciuta sedicenne che si ritrova compagna di un mito), straniamento, inquietudine e malinconica solitudine (Priscilla è la donna più invidiata al mondo eppure si sente spaesata, persa, rinchiusa nella prigione dorata di Graceland, proprio come Marie Antoinette). Lo fa con la grazia e la leggiadria di sempre, non rinunciando a rivendicare un giusto orgoglio femminista. Coppa Volpi alla giovane Cailee Spaeny.



BASTARDEN
(di Nikolaj Arcel, Danimarca - Concorso) 

Un Mads Mikkelsen sontuoso e battagliero dà lustro a questa specie di Braveheart nordico, dove ambizione, avventura, epica e vendetta si amalgamano bene in un drammone storico che ha il merito di non annoiare e proporre anche valori positivi (si parla di razzismo e libertà). Siamo nella Danimarca del '700 ma la struttura, tanto per cambiare, è quella del western di vecchia maniera, dove eroi solitari e dal destino segnato si battono per un ideale più grande. Non passerà alla storia, ma (anche) in questa edizione si è visto ben di peggio.



THE CAINE MUTINY COURT-MARTIAL
(di William Friedkin, USA - fuori concorso) 

Lui in realtà sarebbe fuori classifica... è stato un colpo al cuore apprendere delle morte di un gigante come William Friedkin, che proprio a Venezia avrebbe dovuto ricevere il premio alla carriera e presentare il restauro del suo film più famoso, L'esorcista. E lui, immenso come sempre, non sarebbe venuto al Lido a mani vuote ma regalandoci questo intenso dramma da camera che ora, purtroppo, è diventato anche il suo ultimo film: un legal-drama dalla sceneggiatura di ferro, tutto girato dentro un'aula di tribunale, che stimola naturali riflessioni sulla giustizia e sul senso del dovere. So long, vecchio William.  



THE KILLER
(di David Fincher, USA - Concorso) 

Da Seven a Zodiac, quando David Fincher mette in scena un assassino si va sempre sul sicuro: The Killer è la storia di un sicario in apparenza glaciale, anaffettivo, che un giorno (dopo un obiettivo fallito e le sue conseguenze) scopre di avere dei sentimenti e soprattutto prende coscienza della sua tremenda solitudine. La regìa di Fincher è virtuosa come sempre ma il film, pur accuratissimo, non va oltre la storia che racconta. Le due ore di lunghezza sono comunque assoluto piacere visivo. Gradito ritorno in scena di Michael Fassbender, pienamente calato nel ruolo.



LA BETE
(di Bertrand Bonello, Francia - Concorso) 

In un futuro prossimo, dominato dall'intelligenza artificiale e in cui le emozioni sono considerate pericolose, gli esseri umani hanno la possibilità di "purificare" il loro DNA eliminando gradualmente dalla mente i propri ricordi e rifarsi una nuova vita. Ma per la giovane e inquieta Gabrielle (una splendida, profonda Léa Seydoux) sarà difficile rinunciare alla presenza di Louis, un ragazzo coetaneo verso cui avverte una forte connessione. Il francese Bertrand Bonello ricorre alla fantascienza per scandagliare le difficoltà dei rapporti umani in una società sempre più schiava delle macchine, regalandoci un prodotto di grande atmosfera evocativa. Le due ore e mezza di lunghezza però si sentono tutte...



GREEN BORDER
(di Agnieszka Holland, Polonia - Concorso) 

Come Io Capitano di Garrone, anche Green Border affronta lo spinoso tema dell'immigrazione e le dure condizioni dei profughi (in questo caso provenienti via terra e non via mare, esattamente ai confini tra Polonia e Bielorussia). Ma mentre Garrone racconta una storia avventurosa, epica, privilegiando le emozioni e la narrazione, il film della Holland adotta uno stile documentaristico e fin troppo neorealista tale da farlo cadere in qualche trappola retorica. Rigoroso, ma forse un po' troppo costruito per vincere premi, come in effetti è avvenuto.



IN THE LAND OF SAINT AND SINNERS
(di Robert Lorenz, Irlanda - Orizzonti Extra) 

Ulster, anni 70. In una terra devastata dalla guerra civile un ex sicario con rigurgiti di coscienza (Liam Neeson) si trasforma in un vendicatore solitario verso le vittime dell'IRA, le cui fazioni armate sono capeggiate dalla cattivissima Kerry Condon, in un ruolo diametralmente opposto a quello dolce e dimesso che aveva ne Gli Spiriti dell'Isola. Con molto mestiere il regista Robert Lorenz dirige un western moderno non originalissimo ma efficace, in cui ancora una volta si riflette sul confine - spesso labile - tra patriottismo e terrorismo.



DAAAAAALI'
(di Quentin Dupieux, Francia - fuori concorso) 

Non un biopic su Dalì, bensì un film amabilmente "assurdo" tale da far risaltare il lato surrealista, ironico, cinico del grande pittore spagnolo. Una giovane giornalista francese si mette in testa di intervistare il divo per realizzare un documentario le cui riprese, tra mille surreali vicissitudini (è il caso di dirlo!) non solo non avranno mai inizio ma daranno libero sfogo alle iperboli mentali dell'artista e dei mille personaggi a lui vicini. Pellicola nonsense ma godibilissima, che rispecchia in pieno il pensiero e l'arte del suo protagonista.



ADAGIO
(di Stefano Sollima, Italia - Concorso) 

Dopo ACAB e Suburra, Stefano Sollima chiude la sua trilogia "romana" con un altro film duro e crepuscolare, che scandaglia gli anfratti meno conosciuti di una Capitale ben diversa da come ce la immaginiamo. Un action di buona fattura, con attori importanti (Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Adriano Giannini e l'onnipresente Pierfrancesco Favino) ma anche un po' ripetitivo e poco sorprendente, bisogna dirlo. Non c'è nulla che non va, ma per tutte le due ore (e passa) la sensazione di deja-vu è inevitabile.



LA SOCIEDAD DE LA NIEVE
(di J.A. Bayona, Spagna - fuori concorso) 

Ennesima trasposizione cinematografica del disastro aereo delle Ande del 1972, quando i sopravvissuti di una squadra di rugby uruguagia resistettero per quasi tre mesi in mezzo alle montagne, debilitati da fame e freddo, cibandosi dei corpi dei cadaveri. La versione dello spagnolo Bayona (quello di The Orphanage e The Impossible) è finora la più muscolare e spettacolare, non priva di venature horror che ne fanno un filmone magari un po' tagliato con l'accetta ma che potrebbe anche funzionare bene in sala...



COUP DE CHANCE
(di Woody Allen, Francia - fuori concorso) 

Fa un po' effetto vedere e più che altro ascoltare un film di Woody Allen recitato in francese... il cinquantesimo film del grande regista newyorchese potrebbe anche essere il suo ultimo (come da lui stesso annunciato e sospirato): ci auguriamo ovviamente di no, ma se così non fosse diciamo che si tratterebbe di un decoroso canto del cigno. Coup de chance segna il ritorno di Allen alle sue atmosfere più malinconiche e congeniali, dalle dinamiche di coppia alla disillusione dell'amore. Siamo dalle parti di Match Point e Scoop, con un bel po' di amarezza in superficie (legata ovviamente alle ultime tristi, ingiuste vicissitudini personali del suo autore) e una buona dose di cinismo. Confezione al solito di gran classe, con la fotografia di Storaro e le musiche che rimandano a Miles Davis.



DIE THEORIE VON ALLEM
(di Timm Kroeger, Germania - Concorso) 

Il Multiverso è ormai purtroppo di moda... e finchè lo sfrutta commercialmente la Disney passi anche, ma quando un ambizioso film tedesco, in uno spocchioso bianco e nero finto-vintage, si mette in testa di riscrivere le regole del genere dandogli pure una parvenza di autorialità, allora mi crea non poca irritazione. Suggestioni anni '50, imitazioni hitchcokiane farlocche e tanta, tanta pretenziosità per una pellicola confusa e sonnecchiante che si accende solo nell'ultimo quarto d'ora. Dimenticabilissima.



HORS-SAISON
(di Stéphane Brizè, Francia - Concorso) 

Dispiace parlare in toni poco entusiastici di un Autore rigoroso e rispettoso come Stéphane Brizè, che dopo la sua stupenda e toccante trilogia sul mondo del lavoro (La legge del mercato, In guerra e Un altro mondo) torna al Lido con un insolito film sentimentale raccontando una storia d'amore finita e difficilmente recuperabile, quella tra un attore famoso (Guillaume Canet) e una pianista dilettante (la nostra Alba Rohrwacher). Le atmosfere sono delicate e velate di nostalgia, gli interpreti abbastanza in parte, ma le dinamiche narrate sono alquanto banali e straviste, poco coinvolgenti e decisamente fuori fuoco. Una delle più grosse delusioni del concorso principale. Peccato.



VIVANTS
(di Alix Delaporte, Francia - fuori concorso) 

La giovane reporter Gabrielle è stata appena assunta in un network televisivo e deve sgomitare per assicurarsi il posto in un ambiente di veterani che non la mettono esattamente a suo agio. Un finto film(etto) sul giornalismo d'inchiesta che in realtà è solo un pretesto per imbastire una timidissima storia d'amore tra la giovane allieva e il solito marpione burbero dal cuore d'oro (Roschdy Zem), che nonostante i disastri iniziali della sua protetta vede (ovviamente) in lei un radioso futuro nel mondo del cronismo d'assalto. Nessun motivo particolare per ricordarsi questa pellicola poco degna di nota, salvo che per la presenza dell'incantevole Alice Isaaz, un volto di quelli che, come si dice, "bucano lo schermo" 



LUBO
(di Giorgio Diritti, Italia - Concorso) 

Di Giorgio Diritti vorrei dire tutto il bene possibile,  perchè se lo merita davvero. Cineasta rigoroso, appassionato, sempre in prima fila per denunciare le ingiustizie e rivendicare i diritti umani. Il suo primo film, Il vento fa il suo giro, era un piccolo capolavoro. Il suo secondo film, L'uomo che verrà, mi ha devastato emotivamente (in senso buono, intendo). Già con il terzo film però, Un giorno devi andare, mi aveva fatto storcere il naso per una evidente deriva stilistica verso lo spettatore, sensazione poi confermata con il successivo Volevo nascondermi (dove la straordinaria prova di Elio Germano mascherava una certa pesantezza di fondo). E anche questo Lubo, lo ammetto, pur lodando l'intento di far conoscere al mondo una storia, l'ennesima, di emarginazione e ingiustizia, ha messo a dura prova la mia sopportazione. Tre ore interminabili, ingiustificate, inutili, che mettono a dura prova la pazienza e la palpebra. Rispetto per l'autore, ma vedere un film del genere è masochismo puro.



THE PALACE
(di Roman Polanski, FRA/SVI/ITA - fuori concorso) 

Auguro ogni bene e lunga vita al 90enne Roman Polanski, perchè mi dispiacerebbe davvero se l'epilogo della sua lunga, nobilissima filmografia dovesse chiudersi con un prodotto del genere. Che, intendiamoci, non inficia certo una carriera straordinaria, ma che proprio perchè straordinaria non meriterebbe una conclusione così scadente. The Palace è una stanchissima riproduzione di clichè satirici visti mille volte: sembra, nella migliore delle ipotesi, un remake "invernale" di Triangle of sadness di Ostlund (i più perfidi hanno scomodato Vacanze di Natale dei Vanzina) dove però la critica sociale è banalissima e il registro grottesco assolutamente inoffensivo. Un film senile, innocuo, che non graffia mai e soprattutto non fa mai ridere se non in un paio di circostanze: quelle in cui è in scena un Mickey Rourke amabilmente devastato dalla chirurgia estetica. Ma non basta per salvare il risultato.  



FELICITA'
(di Micaela Ramazzotti, Italia - Orizzonti Extra) 

Se volessi essere cattivo, potrei dire che prima di debuttare nella regìa la Ramazzotti dovrebbe quantomeno "evolversi" un pochino come attrice visto che sono quasi vent'anni che ci propina sempre lo stesso ruolo da coatta romana, spiantata, pazzoide, sessualmente facile e dal cuore d'oro... per il suo primo film dietro la cinepresa ci racconta la (solita) storia di una famiglia disfunzionale, destrorsa, borgatara, dalla quale la bella Micaela non riesce a staccarsi per troppo amore. Ovviamente a lei, che è anche protagonista, capiterà ogni sfiga possibile (Murphy al confronto è un dilettante) che però riuscirà a superare con sorriso sulle labbra e forza d'animo. Cinema italiano, Anno Domini 2023.



ORIGIN
(di Ava DuVernay, USA - Concorso) 

Bisognava aspettare tale Ava DuVernay per capire come va il mondo: lo sterminio degli ebrei, lo schiavismo dei neri in America, il razzismo classista in India e altre nefandezze sono tutte riconducibili a un sistema premeditato basato sulle caste. Una teoria talmente bislacca che fa quasi tenerezza, se il problema non fosse che il film si prende tremendamente sul serio... pellicola ricattatoria, morbosa, piena di banali stereotipi e di un manicheismo insopportabile. Uno dei punti più bassi del concorso veneziano, insieme al delirio borghese di Castellitto (vedi sotto).



ENEA
(di Pietro Castellitto, Italia - Concorso) 

Mi prudono le mani a pensare che questo filmaccio snob sia stato inserito nel Concorso principale. Sul motivo per cui è stato inserito meglio non dica nulla a scanso di querele (ma tanto lo sanno tutti...). Storie di ordinaria borghesia, pippe e coca a Roma nord. Che cosa faccia credere a Castellitto jr. che quello che racconta possa interessare a qualcuno non è dato saperlo, ma tanto a lui interessa solo fare film per scacciare la noia. Prima d'ora, a mia memoria, solo Bellocchio aveva "osato" mettere una bestemmia dentro un film, qui ce ne sono addirittura due (e tra Bellocchio e Castellitto c'è la stessa differenza che tra un Rolex e un Casio - cit.). Quelle degli spettatori molte di più.



AGGO DR1FT
(di Harmony Korine, USA - fuori concorso) 

Delirio visivo, provocazione e tanta supponenza spacciati per cinema, come capita sempre con Korine. Perchè non basta mettersi un visore a infrarossi e far scoppiare gli occhi agli spettatori per essere un "innovatore"... altro che "esperienza sensoriale", questa è una presa per il cu1o pura e semplice. Stop.

8 commenti:

  1. Mi segno tutti quelli che non ho visto, nel frattempo concordo col giudizio su El Conde, cinico e divertentissimo, realizzato in maniera eccelsa.

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    1. Ho appena letto la tua bellissima recensione, condivido in toto!!

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  2. Come al solito splendida ed esaustiva carrellata: ora non resta che vederli tutti!
    Buona serata 😊
    Mauro

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    1. Grazie Mauro, speriamo piuttosto che tutti riescano a uscire presto

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  3. Delle bestemmie non lo sapevo.. che fosse raccomandato, il Castellittino, s'era capito dopo il primo film.. ma pure la sorellina non scherza.. il prossimo anno arriva allo Strega.. ahahah

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    1. Hai detto tutto te... non mi sento di aggiungere altro. Che tristezza però:(

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  4. Ottimo lavoro, una guida praticissima per chi non ha la fortuna di poter essere a Venezia

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