martedì 27 febbraio 2024

LA ZONA D'INTERESSE



titolo originale: THE ZONE OF INTEREST (GB/POLONIA, 2023)
regia: JONATHAN GLAZER
sceneggiatura: JONATHAN GLAZER
cast: CHRISTIAN FRIEDEL, SANDRA HULLER, RALPH HERFORTH, MAX BECK
durata: 105 minuti
giudizio: 


Rudolf Höss è l'ufficiale nazista cui viene affidata la supervisione del lager di Auschwitz. Il suo lussuoso alloggio si trova esattamente accanto al campo di sterminio, separato solo da un muro di cinta. In quest'area privata (chiamata "zona d'interesse") la famiglia del gerarca vive la propria vita agiata, tra giardinaggio, party e passeggiate lungo il fiume, turbata solo di tanto in tanto da strani odori e rumori provenienti di là dal muro...




Per una volta, partiamo dalla fine. Perchè mi è impossibile scrivere qualcosa di sensato su La zona d'interesse senza prima parlare del finale, un finale impossibile da dimenticare per chiunque (chi non vuole spoiler salti pure al paragrafo successivo o legga dopo aver visto il film). Dunque: Rudolf Höss, il gerarca nazista incaricato di coordinare le operazioni di sterminio di massa degli ebrei, vomita sangue in fondo a una rampa di scale che immette in un corridoio buio. Da quel buio, dopo qualche secondo, compaiono le immagini attuali del campo di concentramento di Auschwitz, oggi trasformato in museo, dove le addette alle pulizie passano lo straccio per terra alla fine della loro giornata di lavoro, indifferenti e assuefatte a tutto ciò che si trova alle loro spalle (oggetti, reliquie, macabre testimonianze degli orrori della Shoah). Esattamente come nella famosa "scena dell'osso" di 2001: odissea nello spazio, anche il regista Jonathan Glazer con un solo stacco di montaggio compie un salto in avanti nel tempo (di quasi ottant'anni) per ammonirci sull'importanza del ricordo.

Il messaggio è chiaro. E' l'indifferenza il vero crimine dell'umanità, il nemico che ognuno di noi deve combattere affinchè certe aberrazioni non si ripetano. Perchè chi è indifferente è complice, chi assiste passivamente a un sopruso voltandosi dall'altra parte è colpevole al pari dei carnefici. In molti recensendo La zona d'interesse hanno parlato di "banalità del male", personalmente non sono del tutto d'accordo: nel film di Glazer il male non si vede ma si tocca con mano in ogni momento, per noi che conosciamo quello che accade oltre quel muro di cinta che divide la casa degli Höss dal campo di sterminio, il male non è per nulla banalizzato: è sistematico, programmato, inesorabile. E anche l'apparente serenità in cui vive la famiglia di Höss nasconde l'orrore sottotraccia, lo testimonia il disagio della suocera che fugge via nottetempo, senza dire niente a nessuno, nemmeno alla figlia, una volta compreso l'origine di quel fumo acre e dolciastro che di notte s'insinua nella sua camera da letto...

Solo la moglie di Höss, Hedwig (Sandra Huller, altro ruolo fondamentale per lei dopo Anatomia di una caduta) pare essere davvero pervasa da una trance "bucolica", tanto da considerare la zona d'interesse (ovvero la tenuta di fianco ad Auschwitz dove vive con marito e prole) una specie di paradiso terrestre dove restare per tutta la vita. Una vita assolutamente normale, fatta da party in giardino, bagni in piscina, camminate sul fiume e tè con le amiche. La sua figura rappresenta tutti coloro che sapevano fingendo di non sapere, o che (peggio ancora) sapevano convinti di essere nel giusto, che cioè la famigerata soluzione finale fosse davvero la "cosa giusta" da fare, propugnata dal nazionalsocialismo.  

L'orrore c'è tutto ne La zona d'interesse, ma si finge di non vederlo, di lasciarlo fuori. Coloro che sono riusciti, tra i pochi, a tornare vivi da Auschwitz (da Primo Levi, a Sami Modiano, a Liliana Segre), hanno sempre sostenuto che l'Olocausto non è rappresentabile al cinema, nè sotto forma di fiction nè documentario, perchè non è possibile rappresentare l'indicibile, l'abominio, la cancellazione di ogni più elementare forma di umanità. Ed è quello che fa, chirurgicamente, il film di Glazer, che ci risparmia il solito campionario di corpi scheletrici, atrocità di massa, esecuzioni sommarie e pigiami a righe, mostrandoci invece l'agghiacciante quotidianità dei carnefici che accettano tranquillamente quel poco che trapela oltre il muro di cinta (sotto forma di pellicce, suppellettili o denti d'oro confiscati ai condannati a morte e usati come giochi per bambini...)

La zona d'interesse
è un capolavoro di scrittura e di tecnica insieme. Se la sceneggiatura è esemplare nel raccontarci la cronaca di un genocidio senza mai valicare i cancelli di un lager, altrettanto lo sono gli aspetti tecnici del film: la fotografia di Lukas Zal, tutta in luce naturale, metabolizza l'orrore attraverso il bianco abbacinante del cielo e dei vestiti (il bianco, come sostiene un grande maestro del cinema, Michael Haneke, è il colore più violento che esista) alternato a dissolvenze in rosso e in nero che scandiscono le varie fasi di una spaventosa ordinarietà. A queste si aggiungono alcune sequenze girate in negativo con camera termica rappresentanti il sogno di una bambina che nasconde cibo all'interno del campo: è l'unica concessione al Bene, alla speranza, all'illusione di libertà. Ma tutto è vanificato dall'impeccabile, stupefacente missaggio sonoro del film: un rumore di fondo continuo, sordo, incessante, che accompagna ogni scena e fa intuire attraverso indelebili segnali (uno sparo, un latrato di un cane, il cupo crepitìo tipico dei forni crematori) il disagio e la vergogna consumata entro il perimetro dell'elegante tenuta degli Höss.

Il film di Glazer è una rappresentazione lucidissima, spietata, ineluttabile del Male. Possiamo dirlo con certezza dopo una sola visione e senza timore di essere smentiti: è uno dei più grandi film di sempre sull'Olocausto, che ti mette addosso un disagio enorme, indicibile, che ti inchioda davanti alle tue (nostre) responsabilità, ma da cui non riesci a staccarti mai durante i 105 minuti di proiezione. Come per contrappasso o senso di colpa: perchè di indifferenza si muore, ieri come oggi. 

9 commenti:

  1. Devastante. Sono uscito con un disagio incredibile, mi sentivo soffocare. Tecnicamente splendido, è vero, però le qualità sono ben altre. A livello emotivo è un cazzotto nello stomaco. Ad ogni modo grandissimo film.

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    1. Intendiamoci: la tecnica è parte integrante della qualità artistica. Gli effetti visivi e sonori da soli non servono a niente: spetta al regista usarli nel modo giusto, e se usati nel modo giusto possono dare una grande mano. Ma ovviamente a contare è lo sguardo d'insieme di un film di cui sentiremo parlare molto a lungo...

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  2. Anche a me ha ricordato molto Haneke. Agghiacciante, ineluttabile, stilisticamente perfetto. Oserei dire affascinante, nel massimo rispetto per la tragedia ovviamente
    Per me il miglior film dell'anno al momento.
    Buona serata
    Mauro

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    1. Grazie del commento, Mauro. C'è poco da aggiungere: il paragone con Haneke è molto pertinente ma Glazer ci ha messo anche tanto del suo. E' un film autoriale e personale. Anche a me ha colpito nel profondo.

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  3. Non capisco come questo film possa avervi abbindolato tutti in questo modo! Ottima estetica, non discuto, ma Glazer è sempre stato un esteta. Ma dal punto di vista contenutistico il film si conclude dopo dieci minuti. Contenti voi.

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    1. Non si può dire che non tieni fede al tuo nickname! 😂
      Scherzi a parte, ovviamente NON concordo... o meglio: sul discorso dell'estetica assolutamente sì, Glazer è un mago, ma per me in questo film c'è anche tanta, tantssima sostanza. Eccome.

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    2. Io sono d'accordo, se la cosa ti può fare piacere

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  4. Non vedo l'ora di vederlo, è uno dei film che più agogno di vedere di questa stagione, e la cosa mi terrorizza molto, anche perché rappresentare l'orrore senza vederlo è molto più agghiacciante che vederlo.

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    1. È proprio così, Arwen. Ne riparleremo quando lo avrai visto 😊

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