di Gianni Amelio (Italia, 2013)
con Antonio Albanese, Gabriele Rendina, Livia Rossi, Sandra Ceccarelli
durata: 104 min.
★★★★☆
Nel mondo di oggi Antonio Pane è un perdente: separato dalla moglie, senza soldi, senza lavoro. E per giunta con un figlio musicista che vive con la sua musica senza rendersi conto della sua fortuna. Antonio nella vita si arrangia facendo il 'rimpiazzista', cioè andando a sostituire colleghi più fortunati di lui che per varie ragioni sono costretti ad assentarsi dalle loro mansioni. Antonio vive di rimpiazzi: per qualche ora, per tutto il giorno, quando va bene per una settimana intera. Passa con disinvoltura dal fare l'attacchino al muratore, dal pony express al conducente di tram, dal bibliotecario al lavavetri. Tornato a casa si mette chino sui libri, a studiare per uno dei tanti concorsi pubblici dove i nomi dei vincitori si conoscono già da prima...
Chi ha definito L'Intrepido come l'ennesimo film sulla crisi ha centrato solo in parte l'obiettivo: è vero, il film di Gianni Amelio parla delle difficoltà del nostro tempo, di come sia complicato vivere e arrivare alla fine del mese senza certezze, senza futuro, e per giunta con una famiglia complicata da gestire. Ma non è solo questo: L'Intrepido (titolo preso in prestito da un vecchio albo a fumetti degli anni '70-'80) è un film che ci invita a riflettere sulla dignità del lavoro e dell'essere umano in generale: Antonio non si sente affatto frustrato, anzi a lui questa vita neppure dispiacerebbe se non comportasse sacrifici economici. Per lui non esistono lavori umili o poco edificanti ("a me i lavori piacciono tutti") ma soltanto lavori onesti. E infatti solo in un caso (che non vi riveliamo) Antonio si troverà a disagio: quando si tratterà di fare soldi facili con un lavoro di pura copertura, da cui scapperà a gambe levate in una delle scene più belle del film.
Per stessa ammissione del regista, L'Intrepido non è affatto un film di denuncia sociale nè un pamphlet politico contro il precariato, e chi lo ha criticato probabilmente non se n'è reso conto. Il registro del film è quello di una fiaba moderna, una parabola laica dove anche il necessario lieto fine è comunque commisurato all'insicurezza del nostro tempo. E in questo il lavoro del suo interprete, un bravissimo Antonio Albanese, è perfetto nel restituirci l'immagine di una persona che affronta le difficoltà quotidiane con la consapevolezza che si può sopravvivere con l'onestà e l'impegno se solo si ha il coraggio di non piangersi addosso. Non è buonismo spicciolo: Antonio Pane non è affatto un eroe, nè pensa di esserlo. E' semplicemente una persona normale che ogni mattina si alza e cerca di dare un senso alla sua vita, senza passare le giornate nell'inedia e nella frustrazione. Ottima in questo caso la scelta di Amelio di ambientare il film a Milano, una volta capitale del rampantismo e ora città gelida, inospitale, ben fotografata da Luca Bigazzi in certe location che non siamo generalmente abituati a vedere: il Palazzo dei Congressi, la Nuova Fiera, le gradinate di San Siro, luoghi anonimi e impersonali, perfetti per descrivere lo spaesamento di quest'epoca.
L'Intrepido è un film commovente, delicato, che va giudicato prima col cuore che con la mente. E' un film bello e importante, a patto però di saperlo guardare con gli occhi giusti e coglierne l'aspetto fiabesco. Certo non tutto è perfetto: c'è forse qualche scena di troppo (l'incontro con la ex-moglie al ristorante) e certi personaggi (quelli femminili) non sono approfonditi come ci si aspetterebbe, ma sono peccati veniali di fronte a un'opera che ha la capacità di coinvolgerci emotivamente e farci riflettere, oltre a farci vivere momenti di assoluta poesia (come la sequenza, straordinaria e surreale, girata sulle tribune dello stadio, esempio perfetto dell'alienazione del nostro tempo). Andatelo a vedere, e cercate di giudicarlo con la vostra testa e senza dar retta alle recensioni di una critica nazionale inacidita e prevenuta. Se questo film l'avesse fatto un francese, a quest'ora tutti ne tesserebbero le lodi...
me ho letto spesso male, ma vado di sicuro, poi ti dico
RispondiEliminaDopo questa bella recensione non vedo proprio l'ora :)
RispondiEliminaGià ne ero particolarmente attratta di mio, ora (ma l'avevo già intuito dai tuoi commenti a caldo)di più. ;-) Spero di riuscirci presto. Certo che rabbia pensare che se davvero fosse stato diretto da un francese tutti griderebbero al capolavoro...ma vogliamo imparare a "guardare" anche il cinema italiano???
RispondiEliminaSinceramente, io non capisco da dove derivi tutta questa acredine della stampa nazionale verso Amelio... a Venezia sono rimasto schifato dall'autentica aggressione verbale che ha accolto il film alla proiezione stampa: fischi, 'buu' di dileggio, insulti, commenti sarcastici. Un atteggiamento ignobile che non è stato riservato a nessun'altra pellicola, nemmeno alle più improponibili viste al Lido (e vi assicuro che ce n'erano!). La stessa cosa accadde più o meno nel 1998 quando Amelio vinse persino il Leone d'oro (con "Così ridevano"), e anche per "La stella che non c'è" di qualche anno orsono. Un film può non piacere, ci mancherebbe, ma questo atteggiamento è irrispettoso, prevenuto e inaccettabile verso un cineasta di valore che ha sempre onorato la Mostra.
RispondiEliminaE' il tipico provincialismo italiano. Leggevo non ricordo dove l'intervista a un giornalista straniero inviato a venezia che era sorpreso per la media di bassi voti riservata ai film italiani dalla critica nostrana, quasi come se i nostri "critici" fossero stanchi di vedere i nostri film oppure facesse più "figo" stroncarli senza pietà. Ora io non dico che bosogna esaltare a prescindere i nostri prodotti ma la critica preconcetta è sempre la peggiore.
EliminaMauro
Grazie a te sono andata a vederlo e mi sono commossa! Ma come si fa a criticare questo film? La nostra critica ha i sassi al posto del cuore, è incredibile! Bravissimo Albanese in una parte finalmente diversa dal solito e estremamente convincente. Bello davvero, grazie Sauro! :D
RispondiEliminaGrazie a te :)
EliminaA me è parso brutto ma brutto forte! Anche se non capirò mai che gusto ci sia a fischiare un film: ma non perchè non stia bene (chi paga ha il diritto di fischiare, anche se in sala darsena non paga nessuno, vero?) ma perchè chi li sente quei fischi? E' come se t'incazzi contro un frigorifero, stessa cosa. Mica siamo a teatro.
RispondiEliminaEh no, qui non sono d'accordo! Nessun biglietto pagato da' il diritto di insultare e offendere chicchessia. Io a Venezia mi sono vergognato dell'immagine che abbiamo regalato al mondo... non sopporto chi fischia e chi insulta perché manca di rispetto a chi ha speso soldi e impegno per un progetto artistico, bello brutto che sia. Se poi il film non ti piace, puoi benissimo manifestare il tuo dissenso uscendo prima della fine oppure semplicemente restando in silenzio. Ma i 'buuu' da stadio di calcio sono veramente ignobili.
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