titolo originale: MA RAINEY'S BLACK BOTTOM (USA, 2020)
regia: GEORGE C. WOLFE
sceneggiatura: RUBEN SANTIAGO-HUDSON
cast: VIOLA DAVIS, CHADWICK BOSEMAN, COLMAN DOMINGO, GLYNN TURMAN, MICHAEL POTTS, TAYLOUR PAIGE
durata: 94 minuti
giudizio: ★★★☆☆
Chicago, anni '20. Durante una sessione di registrazione la regina del blues Ma Rayney esaspera la propria band e il proprio management (tutto composto da uomini bianchi) con i suoi capricci da diva. Particolarmente insofferente risulta il giovane trombettista Levee, ragazzo nero di grande talento ma mentalmente instabile, che cerca di farsi strada come cantautore...
Così, dopo One night in Miami (che abbiamo analizzato nel post precedente), ambientato negli anni '60, quelli del dopo-Kennedy e del segregazionismo, ecco che questo Ma Rainey's Black Bottom ci riporta indietro di quattro decadi, in un'America appena precedente la Grande Depressione, dove i neri erano formalmente liberi ma ancora praticamente schiavi, e i pochi che potevano permettersi una vita agiata lo dovevano esclusivamente al blues, la loro musica dell'anima, che raccontava le sofferenze e le umiliazioni di chi doveva sottostare ai pregiudizi di una nazione razzista e prevaricatrice.
Ispirato all'omonima piéce teatrale di August Wilson, doppio premio Pulitzer, nonchè prodotto da Denzel Washington (che richiama per l'occasione la sua "musa" Viola Davis) il film di George C. Wolfe mette in scena un frammento di vita della leggendaria Ma Rayney, la regina del blues, la donna più popolare dell'epoca e autentico simbolo della classe nera, qui ritratta al crepuscolo della carriera. Ma Rainey's Black Bottom non è infatti un biopic in senso stretto: la pellicola si concentra solo su una "giornata particolare" della grande cantante, ovvero il giorno di una registrazione in studio: attività odiata dalla diva ormai in declino che si sente (giustamente) sfruttata dagli impresari bianchi, che vogliono solo estorcerle la voce per masterizzarla e vendere i dischi, dei cui proventi lei godrà - contrattualmente - solo di una minima parte.Wolfe sceglie dunque di raccontare un afoso pomeriggio estivo di una Chicago umida, inospitale e caotica, teatro naturale di una storia di ordinaria ingiustizia e vessazione sociale, ovvero l'essenza stessa del blues. Tutto si svolge in una "cantina" dove si incide musica, e dove la band (ovviamente tutta nera) della divina Ma Rainey si prepara a suonare mentre aspetta l'arrivo della recalcitrante diva. E durante l'attesa l'atmosfera si fa pesante: se infatti tre dei quattro componenti del complesso sono uomini maturi e disillusi, il giovane trombettista Levee (Chadwick Boseman) è invece un fiume in piena... non sopporta, non si capacita che il suo talento musicale possa essere messo sotto il tappeto da un impresario incompetente e razzista, così come non accetta di essere messo in disparte dai colleghi più esperti, che ormai suonano per inerzia e hanno perso la capacità e la voglia di sperimentare...
Levee è un istintivo, un cavallo imbizzarrito geniale ma incontrollabile. Boseman si cala nel personaggio con un realismo a posteriori commovente, che potrebbe davvero fruttargli un meritato Oscar postumo. Meno spontanea e più studiata, seppur anch'essa notevole, è la performance di Viola Davis, che a una trasformazione fisica impressionante abbina una recitazione carismatica e volutamente sopra le righe, tale da rendere giustizia a una donna orgogliosa e coraggiosa, alternativa e perfino sessualmente ambigua (lesbica? bisex? chi è la giovane ragazza che si porta dietro?) capace di farsi rispettare e perfino imporre condizioni ai "bianchi" che vorrebbero sfruttarla e poi accantonarla.
Il film di Wolfe offre un'impeccabile ricostruzione scenografica di una giornata calda e in tutti i sensi soffocante, sfruttando la fotografia seppiata e i colori giallo ocra di Tobias Schlesser insieme ai meravigliosi costumi della pluripremiata Ann Roth (già Oscar nel 1997 per Il paziente inglese). Meno sofisticata è invece la sceneggiatura di Ruben Santiago-Hudson, piuttosto appiattita sul testo originale e in certi punti anche piuttosto verbosetta, che rischia di appesantire più del dovuto un film comunque abbastanza snello nella durata (appena 94 minuti). I dialoghi tra i quattro musicisti della band risentono molto dell'impostazione teatrale della pellicola e non sempre si confanno ai tempi del cinema, ma tutto passa in secondo piano nei confronti di una regale Viola Davis: quando sulla scena arriva lei tutto si illumina di una luce diversa, la luce calda e densissima di una vera anima blues...
Il titolo scelto è fantastico, mi ispira molto: se ben fatte anche le trasposizioni di testi teatrali sono bellissime (penso a Carnage di Polanski, 4 persone chiuse in una stanza, splendido), questo potrebbe essere sul genere. Non lo conoscevo per nulla, grazie della dritta!
RispondiEliminaÈ vero, il titolo è bellissimo e si riferisce alla canzone "protagonista" del film. E anche il film non è male, anche se qui l'impostazione teatrale si sente parecchio (Carnage era girato in una stanza ma aveva un ritmo molto più "cinematografico"). Comunque è un ottimo prodotto, che sono sicuro agli Oscar potrà dire la sua.
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